“Se non si assoggetta all’autorità di al-Serraj, romperemo la testa ad Haftar!”, sarebbe questa una delle frasi attribuite al ministro della Difesa Roberta Pinotti che stanno incendiando gli animi in Cirenaica. Parliamo di mezza Libia, quella orientale.
Giungono da Twitter e Facebook foto con bandiere italiane date alle fiamme e invettive che paragonano l’impegno per la stabilizzazione del paese a nuove imprese di memoria fascista.
Come è facile immaginare, i deliri si auto-alimentano in rete, dando vita a una pericolosa escalation. Il passaparola che starebbe montando sotto l’hashtag #brucialabandieraitaliana sembrerebbe darsi appuntamento per un venerdì di proteste di piazza.
Le parole del ministro Pinotti sono naturalmente un’invenzione. Menzogne che però stanno dando i loro frutti.
Dalla Libia giungono testimonianze preoccupate da nostre fonti in loco che concordano su due punti: quello che sta montando in queste ore non va sottovalutato (le rivolte del 2011 sono nate e sono proliferate grazie ai social), l’ondata di messaggi distorti ad arte potrebbe non essere opera diretta di libici.
Pur in un caos tutto da verificare, il quesito è quindi al momento semplice: al di là del naturale interesse del generale Haftar a vedere riconosciuto internazionalmente il sostegno interno di una larga fetta della popolazione, chi può volere gli italiani (nuovamente) fuori dai giochi?
— L’analisi è stata pubblicata da Difesa Online con il titolo “Libia: isteria antitaliana sui social network. Venerdì di fuoco alle porte?” e ripubblicata in accordo su TPI con il consenso dell’autore
*Andrea Cucco è giornalista pubblicista