Un villaggio indiano ha vinto la sua battaglia contro la Coca Cola. Dopo 15 anni di proteste, gli abitanti di Mehdiganj, nel nord dell’India, sono riusciti a fermare l’espansione di una fabbrica della multinazionale americana.
La comunità accusa la Coca Cola di inquinare il suolo, esaurire le risorse idriche e usurpare la loro terra in modo illegale. E il National Green Tribunal, tribunale indiano per le cause ambientali, gli ha dato ragione.
Da quando la Coca Cola ha aperto la sua prima fabbrica a Mehdiganj, le risorse idriche dell’area sono diminuite drasticamente. Gli abitanti non hanno abbastanza acqua per bere, cucinare e lavarsi. Non basta nemmeno per irrigare i campi, con gravi conseguenze per la produzione agricola.
La costruzione della seconda fabbrica è costata oltre 25 milioni di dollari ma, a causa della mancanza di alcuni permessi, non è mai entrata in funzione.
Lo scorso 25 agosto l’Autorità Indiana per le Risorse Idriche ha respinto la richiesta di licenza della Coca Cola a causa dei danni ambientali che avrebbe provocato. Se il complesso avesse operato a pieno regime, avrebbe portato il consumo annuo da 50mila a 250mila metri cubi d’acqua.
La compagnia è stata accusata anche di rilasciare sostanze inquinanti nel suolo e di contaminare le falde acquifere. Negli scarti industriali sono state riscontrate alte percentuali di piombo, cadmio e altri metalli pesanti, ma la fabbrica di Mehdiganj non dispone di dispositivi per trattare in modo speciale i rifiuti tossici.
Secondo gli attivisti locali, l’inquinamento ha portato a un netto calo della produzione di mango, per cui la regione era famosa.
“La Coca Cola è una compagnia senza ritegno ed eticamente scorretta, che continua ad avere come priorità il profitto invece del benessere delle comunità che vivono vicino alle sue fabbriche”, dice Amita Srivastava dell’India Resource Center, una delle attiviste che ha guidato la campagna per la chiusura della fabbrica, in un’intervista con The Ecologist.
“È assolutamente riprovevole per una multinazionale globalmente riconosciuta come la Coca Cola richiedere permessi per lo sfruttamento idrico in un’area che soffre in modo grave di carenze d’acqua, carenze dovute soprattutto alla sua produzione industriale”.
Per evitare pubblicità negativa, due giorni prima della sentenza del tribunale indiano la Coca Cola ha ritirato “volontariamente” la sua richiesta di permesso per l’apertura della fabbrica. Per giustificare il suo dietro-front, ha accusato le istituzioni indiane di ritardi eccessivi e ingiustificati.
Srivastava è soddisfatta della decisione presa dal governo indiano, ma non si accontenta: “Il nostro obiettivo ora è far chiudere la fabbrica di bottiglie di Coca Cola ancora attiva a Mehdiganj. Inquina, è illegale ed è osteggiata dalla maggioranza della comunità”.
La sentenza del 25 agosto rappresenta un duro colpo per la Coca Cola. La multinazionale americana, che ha già aperto 58 fabbriche in India, considera il continente indiano uno dei suoi principali mercati d’espansione e teme che la vicenda di Mehdiganj possa costituire un pericoloso precedente.