Junior Pacosillo è un ragazzo boliviano di 16 anni. Lavora da quando ne ha 9. In Bolivia ci sono 850mila fra minatori, contadini e lustrascarpe che non hanno ancora compiuto 14 anni, secondo l’organizzazione internazionale del lavoro (Ilo).
Il 2 luglio il parlamento boliviano ha approvato una legge che consente a chi ha almeno 10 anni di svolgere un mestiere indipendente e a chi ne ha più di 12 di essere assunto.
Il presidente boliviano Evo Morales ha ratificato la legge qualche giorno più tardi. Sindacalista e da sempre impegnato con il suo Movimento per il Socialismo (Mas) nello sforzo di rendere la Bolivia autonoma dal controllo statunitense, ha deciso di prendere le distanze dalla Convenzione internazionale 138 sull’età minima dei lavoratori (1973, ratificata nel 1997).
Senza abbassare il limite consentito, che di fatto resta 14 anni, ha però garantito anche ai bambini la possibilità di vedere riconosciuta la propria fatica dall’ufficio governativo.
In un paese in cui un milione di persone sopravvive con meno di un euro al giorno, molte famiglie mandano i loro ragazzi a lavorare come lustrascarpe o fattorini, nelle piantagioni di canna da zucchero, nelle miniere o nei cimiteri.
L’Unione sindacale dei bambini e degli adolescenti lavoratori (Unatsbo) ha incontrato il governo e i rappresentanti del parlamento per chiedere un salario minimo garantito, organizzando proteste e cortei in tutto il Paese.
“Vogliamo che abbia fine lo sfruttamento, ma non il lavoro. Perché è così che ci guadagniamo da vivere”, sostiene Jenny Miranda, che ha 17 anni, lavora da quando ne aveva 6 ed è membro della Unatsbo.
Unatsbo raccoglie i vari gruppi di ninos y adolescentes trabajadores (Nats) delle varie città boliviane. L’organizzazione lavora per vedere riconosciuti i loro diritti come lavoratori e promuovere la loro educazione.
Secondo la Defensoría del pueblo, l’ente governativo incaricato di monitorare la promozione dei diritti umani, l’87 per cento dei minori impiegati è costretto a svolgere lavori pericolosi e il 77,1 per cento non viene nemmeno pagato.
Nonostante a gennaio i portavoce di Human Rights Watch abbiano scritto una lettera di protesta al presidente boliviano Evo Morales e molte campagne internazionali reclamino la necessità di mandare i giovani a scuola anziché a lavorare, i diretti interessati sanno che non si può fare molto per sradicare questa usanza ormai troppo diffusa.
Per il sindacato dei bambini, al momento la cosa più importante è la regolarizzazione. “Proibire il lavoro minorile impedisce soltanto che ci sia protezione legale e ci lascia vulnerabili ai maltrattamenti dei datori di lavoro”.
“Invece di fare concessioni sull’età minima, il governo dovrebbe creare impiego per gli adulti nell’ambito di un programma anti povertà. Così i genitori potrebbero mantenere i loro figli. Sarebbe meglio se con tutti i soldi che distribuiscono creassero più posti di lavoro”, conclude Junior Pacosillo.