Sabato 13 luglio migliaia di manifestanti si sono riversati nelle strade di Tel Aviv in segno di protesta contro il regime di austerità di Benjamin Netanyahu. I dimostranti hanno posto particolare enfasi sull’aumento dei costi del cibo, delle case, della benzina e dell’istruzione.
Domenica il premier israeliano si è poi oltreutto trovato al centro di un fuoco incrociato dopo che il governo ha approvato la legge che abolisce l’esenzione per gli ebrei ultraortodossi di prestare servizio militare. Esenzione che permetteva a circa 1800 studenti di teologia l’anno di evitare la leva, obbligatoria in Israele per uomini e donne.
Con un tempismo “perfetto” – che sembra voler distogliere l’attenzione dalla crisi sociale interna del Paese – arriva l’intervista rilasciata domenica alla CBS news dove Netanyahu si è dichiarato pronto a intervenire militarmente per fermare l’Iran, ormai sempre più vicino alla creazione dell’atomica.
Netanyahu ha definito il neo presidente moderato Hassan Rouhani “un lupo mascherato da agnello, che sorride mentre costruisce la bomba”. Secondo il premier, l’Iran, anche dopo le elezioni, non ha cambiato rotta e starebbe continuando lo sviluppo del suo controverso programma nucleare.
Controcorrente rispetto agli USA e al resto della comunità internazionale, che guardano con fiducia all’elezione di Rouhani, il leader israeliano ha ribadito la necessità di usare la forza per fermare le velleità atomiche dell’Iran.
“Bibi” Netanyahu ha poi dichiarato con toni forti che l’Iran è prossimo a superare quella linea rossa tracciata all’ONU lo scorso settembre: “Non aspetterò che sia troppo tardi. Se il regime iraniano non smantellerà il suo programma nucleare non sopravvivrà”.
Netanyahu pretende dagli Stati Uniti fatti – non solo parole – che dimostrino la volontà di procedere a un attacco militare contro il regime qualora un inasprimento delle sanzioni non ottenesse i risultati sperati.
Israele mantiene quindi il pugno di ferro nei confronti dell’Iran nonostante abbia approvato a maggio (nella legge finanziaria 2013/2014) tagli di portata rivoluzionaria alle sue forze armate e di conseguenza un potenziale indebolimento militare.
Questa drastica riduzione nelle spese per la difesa è la risposta alle proteste di Tel Aviv che chiedono di impiegare parte dei fondi militari in programmi sociali come salute, istruzione, welfare e infrastrutture. La “rivoluzione” dell’esercito è anche, – e soprattutto – una mossa strategica per far fronte alle nuove guerre asimmetriche ormai prevalenti nella regione Medio Orientale.
Cosa si taglia e cosa si crea? Complessivamente il budget nazionale dedicato alla difesa vedrà una riduzione di 1.5 miliardi di dollari entro la fine dell’anno per arrivare a 3 miliardi di dollari entro la fine del 2014.
Tra i 4.000 e i 5.000 militari di carriera saranno licenziati e verranno eliminati una gran parte dei mezzi pesanti degli anni Cinquanta e Sessanta (artiglieria, carri armati e navi da guerra). Gli squadroni di terra subiranno la maggiore riduzione sia per quanto riguarda gli effettivi che per l’addestramento.
Questo smantellamento delle forze armate, anche se in apparenza potrebbe comportare un indebolimento dell’esercito israeliano è funzionale al cambiamento dei combattimenti che non vede più scontri tra eserciti convenzionali ma un tipo diverso di guerra.
Per far fronte alla guerriglia urbana oggi sono necessari investimenti nelle forze aeree, nella guerra elettronica, nell’intelligence, nell’utilizzo di droni e nello sviluppo di tecnologia e armi a lunga gittata in grado di limitare al massimo le perdite civili.
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