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    Il grande rifiuto

    Cipro dice no al piano di aiuti internazionale da 10 mld di euro per salvare il proprio sistema bancario, e intravede il baratro

    Di Giulio Alibrandi
    Pubblicato il 20 Mar. 2013 alle 16:42 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 16:58

    Con un voto finito 36 a 0, il parlamento di Nicosia non ha accettato la condizione richiesta dalle autorità europee di contribuire con 5,8 miliardi al salvataggio tramite prelievi forzosi dai conti correnti dei cittadini. Nel fine settimana il governo aveva accettato di tassare i redditi al di sopra e al di sotto dei 100.000 euro, applicando due aliquote distinte.

    I deputati si sono invece opposti, anche di fronte all’apertura di Bruxelles, che chiedeva fossero colpiti solamente i patrimoni più grandi. Dietro questo rifiuto, che mette a repentaglio le banche cipriote e la permanenza dell’intero Paese nell’eurozona, c’è la volontà, ben radicata, di rimanere la destinazione preferita d’ingenti capitali esteri, spesso in fuga dal fisco e spesso russi (il denaro di provenienza russa forma un terzo circa dei depositi totali di Cipro). In parlamento, infatti, l’accordo negoziato dal governo è risultato estremamente impopolare, al punto che una parte consistente del gruppo parlamentare della maggioranza ha scelto di astenersi.

    Nella serata di ieri il ministro delle finanze Michalis Sarris è volato a Mosca per cercare di ottenere gli aiuti necessari dal Cremlino, geloso dei risparmi custoditi sull’isola dai propri cittadini e molto critico della scelta di tassare i conti correnti. La proposta è quella di estendere la durata del credito da 2,5 miliardi di euro accordato dalla Russia – che scadrebbe nel 2016 – riducendo il tasso d’interessi da pagare.

    In alternativa si parla di un “Piano B” che prevede la nazionalizzazione dei fondi pensionistici e l’emissione di obbligazioni garantite dai provanti futuri di un giacimento di gas trovato nel Mediterraneo, sul quale cominceranno le attività nel 2019. Il “Piano”, come prevedibile, non riscuote grandi consensi a livello internazionale.

    In mancanza di sostegni, le banche isolane non riuscirebbero a evitare il collasso. Secondo diverse fonti, le due banche più grandi di Cipro sono a tutti gli effetti illiquide e non riuscirebbero a sopravvivere senza il supporto a lungo termine della Banca centrale europea. Il sostegno però è subordinato all’accettazione dei requisiti dettati in sede europea e internazionale (il contributo di 5,8 miliardi è stato richiesto dal Fondo monetario internazionale).

    Il problema è che, a detta di diversi analisti, il sistema finanziario di Cipro è ora al di là di qualsiasi salvataggio. Dopo i recenti sviluppi, la fiducia dei risparmiatori nelle istituzioni di Nicosia è ai minimi storici e nulla potrà fermare un’emorragia di capitali verso l’estero, un problema che lo stesso piano di salvataggio doveva risolvere e che ora ci si trova ad aver accentuato. Secondo la Banca centrale nazionale, il 10% dei depositi, pari all’80% del Pil, potrebbero abbandonare il Paese. Di conseguenza si palesa sempre più la necessità di un intervento in stile islandese, volto a salvare il salvabile piuttosto che a prevenire il fattaccio.

    Nel frattempo le banche del Paese sono chiuse da lunedì e non riapriranno almeno fino alla prossima settimana. Cosa troveranno i ciprioti alla loro riapertura?

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