Venerdì 12 luglio, Malala Yousafzai, la 15enne pachistana sopravvissuta a un attentato talebano lo scorso ottobre, parlerà per la prima volta in pubblico.
Lo farà nella sede newyorchese delle Nazioni Unite, davanti a una platea di centinaia di studenti provenienti da più di 80 Paesi.
Una grande assemblea composta da giovani e diplomatici riuniti al Palazzo di Vetro, per ricordare Malala e la sua battaglia per l’affermazione del diritto allo studio in Pakistan, e in tutti quei Paesi in cui l’accesso all’istruzione è vietato alle bambine e alle ragazze.
La visita di Malala alle Nazioni Unite coincide con il suo 16esimo compleanno. Per l’occasione, la giovane pachistana consegnerà al segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki–Moon una petizione lanciata all’indomani della morte di 14 studentesse pachistane, uccise da un’autobomba, per chiedere ai leader mondiali di far si che tutti i bambini possano andare a scuola.
La battaglia pacifica di Malala comincia nel 2009. La giovane studentessa pachistana raccontava per iscritto quanto accadeva nella sua città, Mingora, situata nella valle Swat, spesso teatro di conflitti fra talebani ed esercito. Descrive scuole assaltate e distrutte, attentati suicidi giornalieri e decine di vittime, soprattutto ragazze e personale didattico. Dal 2001 al 2009 su 1.576 edifici scolastici dislocati nella valle Swat, almeno 400 sono state le scuole assaltate e distrutte dai talebani.
La testimonianza diretta di Malala viene poi pubblicata sul sito della Bbc e comincia a circolare anche in Pakistan, divenendo ben presto un atto di denuncia aperta nei confronti dei talebani. La giovane studentessa aveva così attirato l’attenzione della stampa e dei media internazionali. Un reportage realizzato nel 2009 dall’emittente araba Al-Jazeera dal titolo “A Schoolgirl’s Odyssey”, racconta la condizione delle ragazze pachistane e il loro diritto negato di frequentare le scuole.
La lotta pacifica di Malala culmina nel 2012 con un epilogo scontato. Il 9 ottobre 2012, la giovane pachistana all’uscita di scuola viene ferita gravemente alla testa e al collo da alcuni proiettili sparati da un talebano. Dopo le prime cure ricevute in un ospedale locale, Malala viene trasferita in un ospedale di Birmingham, nel Regno Unito. Nonostante le gravi ferite riportate e il lungo periodo di convalescenza, la giovane pachistana riesce a sopravvivere, divenendo ben presto il simbolo della lotta pacifica per il diritto all’istruzione non solo in Pakistan, ma nel mondo.
Il 15 novembre dello stesso anno, il sito Change.org lancia una petizione per conferire a Malala il Premio Nobel per la Pace. Nel frattempo, le Nazioni Unite istituiscono “il Malala Day”, una giornata dedicata alla studentessa pachistana e alla battaglia per il diritto allo studio nel mondo. Un diritto negato non solo in Pakistan, come ricorda lo stesso Ban Ki–Moon, in un editoriale pubblicato sull’Huffington Post: “Attualmente nel mondo sono almeno 57 milioni i bambini che non hanno accesso all’istruzione. La maggior parte sono femmine”.
Ma la maglia nera spetta ancora una volta al Pakistan, che occupa una posizione di poco superiore ai Paesi dell’Africa sub–sahariana, per quanto riguarda l’educazione femminile. A rivelarlo un report pubblicato nel 2012 dall’Unesco. Circa il 62 per cento delle ragazze in Pakistan, di età compresa tra i sette e i quindici anni, non hanno mai oltrepassato la soglia di una scuola, mentre almeno il 70 per cento delle scuole distrutte dai talebani sono istituti femminili.
“In troppi luoghi, gli studenti come Malala e i loro insegnanti sono minacciati, aggrediti o persino uccisi”, ha dichiarato Ban Ki–Moon in una nota diffusa dalle Nazioni Unite alla vigilia della visita di Malala. “Attraverso atti pieni di odio, gli estremisti hanno mostrato che ciò che li spaventa di più è una ragazza con un libro. Dobbiamo fare tutto il possibile per garantire spazi di apprendimento sicuri. In nessuna parte del mondo dovrebbe essere un atto di coraggio per un adulto insegnare o per una ragazza andare a scuola”.
Aggiornamento in diretta dal discorso di Malala Yousafzai alle Nazioni Unite, New York, 12 luglio 2013:
“Un bambino, un insegnante e una penna possono cambiare il mondo. Perciò, riprendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne perché sono le nostre armi più potenti.” Sono state queste le parole pronunciate da Malala Yousafzai, la giovane pachistana ferita dai talebani un anno fa, nel suo primo discorso pubblico pronunciato oggi alle Nazioni Unite di New York. “Oggi per me è un onore essere qui, è uno dei momenti più importanti della mia vita. Ma il Malala Day non è il mio giorno – ha sottolineato la giovane studentessa – è soprattutto il giorno di tutte le donne, di tutti i bambini e di tutte le bambine che nel mondo non hanno voce per rivendicare i loro diritti violati o negati”. Malala ha poi invitato le potenze mondiali ad adottare misure urgenti per garantire ad ogni bambino il diritto di andare a scuola. “Perché – ha concluso Malala – l’istruzione è l’unica soluzione”.
Leggi l'articolo originale su TPI.it