La vicenda Snowden prende vita nel gennaio 2013 quando il giovane ex impiegato di Cia e Nsa inizia ad avere contatti prima con Laura Poitras, membro della Freedom of the Press Fondation, poi con Glenn Greenwald, giornalista del Guardian, e Barton Gellam del Washington Post.
Snowden comunicava con loro attraverso e-mail criptate, usando il nome in codice Verax e, come poi affermerà lo stesso Greenwald, era perfettamente consapevole della portata delle sue azioni: “So già che soffrirò per quel che sto per fare e so già che svelare queste informazioni al pubblico sarà la mia fine. Ma io non voglio vivere in una società che fa questo genere di cose e non voglio vivere in un mondo dove ogni cosa che faccio e dico viene registrata”.
L’1 maggio poi, con il pretesto di ricevere delle cure per la sua epilessia, il ragazzo ottiene il permesso di lasciare temporaneamente la sua posizione in una base della Nsa alle Hawaii e il 20 dello stesso mese si imbarca su un aereo in direzione Hong-Kong.
Proprio nella città cinese, da un hotel, Edward inizia a veder pubblicate sul Guardian le prime rivelazioni su quello che passerà alla storia come il Datagate, la più grande fuga di notizie dell’intelligence americana.
Il 5 giugno il quotidiano britannico pubblica un ordine segreto della Fisc (Foreign Intelligence Surveillance Court) rivolto alla Verizon Communications con la richiesta di ottenere tutti i dati relativi alle chiamate dell’intero territorio Usa, sia quelle locali che quelle effettuate tra gli Stati Uniti e l’estero.
Il giorno successivo viene rivelata l’esistenza di un programma di sorveglianza clandestina, Prism, che permetteva alla Nsa di accedere a e-mails, ricerche web e traffico internet in tempo reale.
Il 17 giugno il Guardian rivela che durante il G-20 del 2009, un’agenzia di intelligence britannica, la Gchq, ha intercettato le comunicazioni dei politici presenti al summit di Londra. Cinque giorni dopo il mondo viene a conoscenza di Tempora, l’operazione britannica che da 18 mesi intercetta e cataloga infinite quantità di traffico internet.
Un susseguirsi di rivelazioni imbarazzanti e scoop che mettono in serio pericolo le relazioni internazionali di Stati Uniti e Regno Unito. E non sembra che le notizie siano destinate a esaurirsi nel giro di qualche giorno.
Il destino di Snowden resta comunque incerto. Da Hong-Kong, il 29enne aveva fatto sapere che sarebbe rimasto nella città fin quando non sarebbe stato cacciato, ma nel frattempo cercava Paesi in cui poter richiedere asilo politico (in primis Ecuador e Islanda).
Lo stesso Julian Assange aveva fatto da intermediario tra Snowden e Reykjavik affinchè gli venisse concesso un eventuale asilo ma alla fine sembra che il giovane abbia scelto il Paese sudamericano. “Per l’Ecuador i diritti umani sono sopra ogni interesse” aveva annunciato Ricardo Patino, ministro ecuadoriano degli Esteri, confermando che Snowden aveva richiesto asilo politico a Quito.
Nel contempo, il 23 giugno gli Usa revocano il passaporto statunitense di Edward e lui, lo stesso giorno, si imbarca su un volo con destinazione Cuba e scalo a Mosca. Per alcune ore sembra che Snowden, però, sia sparito dalla faccia della terra.
Decine di giornalisti si imbarcano all’aeroporto Sheremetyevo (Mosca) per unirsi alla seconda parte di viaggio e giungere infine all’Avana. Ma, una volta in terra cubana, si accorgono che del giovane non vi è alcuna traccia. Poche ore per scoprire che Edward, in realtà, non ha mai messo piede su quel secondo aereo e che, invece, è rimasto nella zona di transito dell’aeroporto Sheremetyevo.
Dai vertici di Washington iniziano a arrivare le prime pressioni: “Data l’intensa collaborazione con Mosca, ci attendiamo che la Russia valuti tutte le opzioni per espellere il signor Snowden e restituirlo agli Stati Uniti, così che affronti la giustizia per i reati commessi”. La pronta risposta di Putin non si fa attendere: “Non ha commesso delitti, è arrivato nel nostro Paese senza che noi lo sapessimo. Prima si muoverà da qui e meglio sarà per lui e per noi”.
Nel frattempo, sull’altro lato del mondo, Washington accusa anche la Cina per aver “deliberatamente scelto di liberare un fuggitivo nonostante un mandato d’arresto”. Un’insinuazione grave a cui Pechino risponde così: “Accuse senza fondamento che la Cina non può accettare”.
Intanto Snowden continua a vivere le sue ore all’aeroporto di Mosca, in attesa che la questione del suo passaporto venga risolta, e rivela al mondo che, qualsiasi cosa gli succeda, i suoi segreti rimarranno al sicuro. Ha già difatti consegnato le copie delle informazioni a persone fidate.
“Quanti hanno questo materiale – ha dichiarato il giornalista Greenwald – non possono accedervi al momento perché i dati sono criptati e non hanno password. Ma se dovesse accadere qualcosa a Edward verranno consegnate loro le chiavi di accesso”.
L’Ecuador, a cui Snowden aveva richiesto asilo politico, si è già schierato a favore dell’americano. I rapporti tra i due Paesi non sono idilliaci, considerando che da mesi la stessa ambasciata ecuadoriana di Londra protegge Julian Assange. “La stampa internazionale – ha dichiarato il presidente Rafael Correa – è riuscita a puntare l’attenzione su Snowden e sui malvagi Paesi che l’appoggiano, facendoci dimenticare le cose terribili fatte contro il popolo americano e il mondo che lui ha denunciato”.
Ma per lui arrivano oggi anche le rassicurazioni del padre Lonnie che, in un’intervista rilasciata alla Nbc News, dichiara che il figlio potrebbe rientrare negli Stati Uniti a condizione che riceva un processo equo e la libertà fino alla sentenza definitiva: “Gli voglio bene, vorrei parlargli, non voglio metterlo in pericolo ma non mi fido delle persone che lo circondano”.
Come in un buon thriller che si rispetti, anche qui: To be continued.
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