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    Il boom del calcio tedesco

    La Germania è alla quarta semifinale mondiale consecutiva. Il segreto della rinascita tra investimenti, integrazione e giovani.

    Di Michele D'Alessio
    Pubblicato il 8 Lug. 2014 alle 10:54 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:23

    “Il calcio è un gioco semplice: si gioca undici contro undici, e alla fine vincono i tedeschi”. Questo famoso aforisma di Gary Lineker torna oggi prepotentemente di attualità.

    La Germania arriva in una semifinale mondiale per la quarta volta di fila grazie alla lungimirante pianificazione e ristrutturazione del sistema calcio dopo il fallimento del 1998 e di Euro 2000, quando la nazionale tedesca chiuse mestamente il girone con un solo punto.

    Oggi la Bundesliga è comunemente riconosciuta come uno dei principali campionati europei e il suo coefficiente UEFA ha sorpassato quello del nostro campionato. Gli illuminati dirigenti della Deutscher Fußball-Bund hanno deciso di mettere al centro dell’attenzione gli stadi, la partecipazione attiva del pubblico e gli investimenti nel settore giovanile, compresa quell’integrazione con i tedeschi di nuova generazione che ha portato la nazionale a essere ricca di calciatori naturalizzati.

    Le squadre italiane dipendono economicamente dai proventi dei diritti televisivi, mentre le società tedesche puntano su modelli di business legati ai biglietti e ai ricavi commerciali, sintomo di un sistema capace di generare spettacolo, come ormai in Italia non si riesce a fare più (media presenze allo stadio in serie A è di circa 22.500, mentre in Germania è di 43.500, dati del ReportCalcio2014).

    E quindi ecco che i migliori tra allenatori e giocatori scelgono la terra tedesca, come hanno fatto Guardiola e Robben e come stanno facendo anche alcuni dei più forti giovani italiani: Giulio Donati al Bayer Leverkusen, Luca Caldirola al Werder Brema e soprattutto Ciro Immobile al Borussia Dortmund.

    Proprio il Borussia è la principale espressione di questa rinascita del calcio tedesco, una fucina di giovani giocatori capaci di impressionare l’Europa e di ottenere in poco tempo due Meisterschale consecutivi e una finale di Champions League persa contro i connazionali del Bayern Monaco: risultati insperabili solo qualche anno prima, quando la squadra era sull’orlo del fallimento e costretta a mettere in vendita lo stadio.

    Il sistema gode di ottima salute, come testimoniano le quattro semifinali consecutive ai mondiali, e sono in tanti gli esperti convinti che la Germania meriterebbe per questi motivi di tornare a sollevare la coppa dopo i successi del 1954, 1974 e 1990. La nazionale di oggi, però, è molto diversa da quelle vincenti in passato.

    Sono ben sei i giocatori che hanno origini straniere e, tra questi, due fenomeni come Miroslav Klose e Lucas Podolski sono addirittura nati nella vicina Polonia. Gli altri, come Khedira, Boateng, il sampdoriano Mustafi e Oezil hanno genitori nati tra Tunisia, Ghana, Albania e Turchia, e poi immigrati in Germania.

    Il sistema italiano, che in questi giorni sta conoscendo programmi e prospettive di cambiamento, è intenzionato a prendere esempio dai tedeschi. La priorità è quella di riportare la gente allo stadio, offrendo strutture comode e all’avanguardia, come l’Allianz Arena di Monaco o la Veltins Arena di Gelsenkirchen, casa dello Shalke 04.

    Da noi il lavoro sull’integrazione e sui giovani è stato ben avviato, come testimoniano Balotelli, Ogbonna ed El Sharaawy, anche se la piaga del razzismo è ancora presente. Nel calcio come nell’economia, l’Italia è ancora una volta chiamata a colmare lo spread che la separa dalla Germania.

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