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    I privilegi della casta cinese

    Clientelismo, familismo, corruzione e affari illeciti dell’élite politica non sono più tollerati dall’opinione pubblica cinese

    Di Maria Dolores Cabras
    Pubblicato il 27 Mar. 2014 alle 08:44 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 22:34

    Recita un antico proverbio cinese: “Quando un uomo ottiene il potere perfino i suoi polli e i suoi cani salgono al cielo”. E in nessun altro Paese questo adagio sembra essere profetico come in Cina. Dove la correlazione tra potere e ricchezza assume soprattutto la forma di un processo identitario socio-culturale, il riflesso dell’appartenenza a una lobby affaristica o a un potentato familistico. Un sistema sostenuto da una fitta rete interpersonale di relazioni sociali improntate alla logica del favoritismo e della reciprocità dello scambio. A sedere sul banco degli imputati sono le guanxi, il network di contatti e capitale sociale che, fungendo da indicatore potenziale del prestigio di un individuo, ne agevola l’accesso al potere e stabilisce quale sia il suo posto nell’ordinata dimensione gerarchica cinese.

    Secondo il Prof. Roderick MacFarquhar, che studia le élites politiche di Pechino ad Harvard, “se sei il fratello di qualcuno che è molto noto in Cina, automaticamente le persone ti vedono come un potenziale agente di influenza e ti trattano bene nella speranza di instaurare le guanxi con il relativo pezzo grosso di famiglia”. Il recupero della centralità del ruolo della famiglia e della sua rete di legami forti come cellula primitiva di sviluppo dell’individuo e della sua influenza, conferma l’esistenza del redivivo impianto architettonico relazionale societario di matrice confuciana. C’è un enorme vantaggio passivo a essere anche soltanto membro di uno degli alberi genealogici importanti nel Paese, come ha dichiarato Orville Schell, direttore del Centro sulle relazioni Usa-Cina presso l’Asia Society di New York.

    È proprio all’interno del cerchio magico del clan familiare e nelle sue appendici tentacolari, estese fin dentro al partito, che si sviluppa un ethosesclusivo, concorrente e talvolta confliggente con quello comunitario. Si rinforzano le pratiche corruttive e si perpetua la distribuzione differenziata del potere, quindi la disuguaglianza sociale e la disparità di reddito e di accesso alle risorse. Lusso, vizi e capricci ostentati dai funzionari di Pechino e dai loro familiari sono sempre più mal sopportati dall’opinione pubblica cinese e nella piattaforma dei micro-blog fioccano rumors e critiche di ogni sorta contro la nuova aristocrazia rossa. Fino ad oggi al centro della polemica c’erano il patrimonio di ben 136 milioni di dollari di Bo Xilai, la Ferrari di suo figlio Guagua, nonché l’abito griffato Emilio Pucci indossato dalla figlia dell’ex premier Li Peng in occasione dell’Assemblea legislativa nazionale.

    Ora sembra essere iniziata la caccia ai patrimoni e alle fortune degli altri esponenti di spicco della leadership del Paese. Si fa incetta di documenti e testimonianze che dimostrino i loro legami con le lobbies finanziarie e i loro interessi immobiliari, con l’obiettivo di comprovare come la corruzione e il carrierismo abbiano investito tutti i livelli della gerarchia dello Stato-partito. “La mancanza di princìpi e i comportamenti corrotti non favoriscono la purezza del partito. Oggi alcune persone sono entrate nel partito non perché credono nel marxismo e vogliono dedicarsi al socialismo con caratteristiche cinesi, ma perché aspirano a farne parte per ottenere vantaggi personali”, ha dichiarato il vicepresidente Xi Jinping in un discorso tenuto lo scorso marzo davanti ai cadetti della Scuola centrale del Pcc.

    Stanare coloro che strumentalizzano e abusano del proprio ruolo e potere per il tornaconto personale è un principio cardine “non negoziabile” di ispirazione per la nuova generazione di leader cinesi. Ma non tutti sembrano uniformarsi ad esso. È stato sufficiente che un’inchiesta di Bloombergrivelasse il giro di affari che ruoterebbe attorno alla famiglia di Xi, candidato ad essere il prossimo presidente della Repubblica Popolare Cinese, perché il sito fosse bandito dalla rete nel Paese. Ma quali sono i conflitti di interessi, quali le fortune e i patrimoni dei nuovi e vecchi leader di Pechino?

    Hu Jintao. Il presidente Hu ha numerosi familiari attivi nei settori immobiliare, turistico e dell’acciaio. La figlia Hu Haiqing è sposata con Daniel Mao, amministratore delegato di Sina.com, la cui ricchezza personale è stimata intorno ai 35-60 milioni di dollari. Il figlio, Hu Haifeng, segretario della Tsinghua Holdings, controlla la NucTech, sulla quale pendono accuse di corruzione e concorrenza sleale, avanzate da numerosi Paesi in cui ha operato la società.

    Wen Jiabao. Durante una riunione del Consiglio di Stato il premier Wen Jiabao ha affermato che occorre che il potere sia esercitato “alla luce del sole” per neutralizzare il fenomeno della corruzione. Ma, secondo quanto riportato dal Financial Times, anche i suoi familiari avrebbero beneficiato della sua influenza politica e del suo potere per vantaggi personali. La moglie Zhang Baili è Direttrice del Centro Nazionale di Formazione Gemmologica e vice-direttore dell’Associazione commerciale delle Gemme e dei Gioielli della Cina.

    Il figlio Wen Yunsong è presidente della China Satellite Communications ed è uno degli investitori nel settore della private equity di maggior successo in Cina. Nel 2005 il suo fondo (New Horizon Capital-Cayman Islands) ha raccolto più di 2,5 miliardi di dollari da banche del calibro della Deutsche Bank, Ubs e JPMorgan Chase. Non è noto l’ammontare della sua ricchezza personale. La figlia del premier, Wen Ruchun, lavora invece per Credit Suisse come banchiere; il marito Liu Chunhang, divenuto quindi genero di Wen Jiabao, è direttore generale del Dipartimento di statistica e ricerca della China Banking Regulatory Commission e aspira alla carica di vice-governatore di una delle province cinesi.

    Xi Jinping. Figli del noto combattente rivoluzionario Xi Zhongxun, Xi e i suoi fratelli appartengono alla categoria dei rampolli rossi di Zhongnanhai, cresciuti con un tenore di vita molto agiato. Durante l’infanzia Xi Jinping ha dovuto trasferirsi in seguito all’arresto del padre e subire un processo di rieducazione, seppur leggero. La sua iscrizione al partito comunista è stata a lungo rifiutata e solo dopo la riabilitazione del padre il suo tenore di vita è aumentato. Il patrimonio della famiglia Xi è da ascrivere per lo più alle proprietà immobiliari e alle partecipazioni finanziarie della sorella maggiore di Xi Jinping, Qi Qiaoqiao, di suo marito Deng Jiagui e della loro figlia Zhang Yannan, nelle grandi compagnie cinesi delle telecomunicazioni, dell’energia e dell’edilizia.

    I nomi di Qi, Deng e Zhang “compaiono come soci, amministratori o legali rappresentanti in almeno 25 aziende, nel corso degli ultimi due decenni, in Cina e a Hong Kong. Talvolta la sorella di Xi Jinping, Qi Qiaoqiao, utilizza lo pseudonimo di Chai Lin-Hing per effettuare le transazioni in assoluto anonimato. Proprio a causa della mancanza di trasparenza nei registri di proprietà e nella documentazione pubblica delle diverse società la stima del loro patrimonio familiare è probabilmente approssimata per difetto e non tiene conto delle passività.

    Le fortune complessive di Qi Qiaoqiao e famiglia ammonterebbero a circa 400 milioni di dollari, più la recente acquisizione del 18 per cento delle azioni della società Jiangxi Rare Earth & Rare Metals Tungsten Group Corp del valore di 1,73 miliardi di dollari. Zhang Yannan sembra abbia investito inoltre 3,17 milioni di yuan nella Hiconics Drive Techonology Co. Il patrimonio immobiliare della famiglia estesa di Xi è notevole: “Una villa di lusso a Hong Kong di 31,5 milioni di dollari, almeno sei altre proprietà a Hong Kong con un valore complessivo stimato di 24,1 milioni di dollari, e un quartiere residenziale di lusso (Guanyuan) vicino a quello finanziario di Pechino”. I contatti di Qi e Deng con quella che in seguito è diventata la Shenzhen Yuanwei Industries Co. risalgono invece al 1997, quando i due registrarono un investimento di 15,3 milioni di yuan.

    Deng Jiagui è stato anche il legale rappresentante della Dalian Wanda Commercial Properties Co., di cui possiede lo 0,8 per cento delle azioni, e possedeva il 60 per cento della Shanghai Wangchao Investment Co. L’altro cognato di Xi Jinping, Wu Long, guidava invece la compagnia di telecomunicazioni New Postcom, legata con contratti esclusivi a China Mobile, mentre alcune società della holding immobiliare Yuanwei Investment Co. sono passate interamente sotto la proprietà di Deng e Qi.

    Wu Bangguo. Se la moglie di Wu Bangguo, Hang Ruizhen, fino agli inizi del 2012 guidava la Sanchuan Investment Management, i fratelli Wu Bangjie e Wu Bangsheng presiedono rispettivamente la Shanghai Kaiwan Investment Management e la Shanghai Jinxia Real Estate. E Zhou Yongkang. Bin, il figlio di Zhou Yongkang, membro del Politburo e segretario del Comitato Centrale Politico e Legislativo del Partito Comunista Cinese, è attivo nel settore energetico e in affari con Petro China. Sembra che utilizzasse i servizi di spionaggio governativi (suo padre è il dominus dell’apparato di sicurezza del Paese) a scopo privato per intimidire i competitori.

    In Cina si comincia a chiedere maggior trasparenza e pubblicità dei beni posseduti dai leader politici. C’è chi tenta di definire i limiti del potere tracciandone il profilo e chi, in fondo, riesce ancora a cogliere uno sprazzo di coerenza nella sua doppia faccia: quella di una leadership che ha abbandonato il motto maoista del “servire il popolo” per abbracciare lo slogan denghista “arricchirsi è glorioso”.

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