I matrimoni gay in Spagna
Ruth ha 5 anni e adora gli animali. Il suo preferito è il gorilla. Nel recinto dei primati ce n’è uno con un cucciolo in braccio. Ruth non riesce a staccargli gli occhi di dosso. Ma le fa anche un po’ di paura. Per questo si aggrappa alla gamba di sua madre Mar e stringe forte la mano di sua mamma Montse. È sabato pomeriggio e i raggi di un tiepido sole autunnale scaldano i vialetti dello zoo di Barcellona, vocianti di bambini e affollati di famiglie. Come quella di Ruth e delle sue mamme Montse Mote e Mar Sevillano, che lo scorso 6 novembre hanno celebrato la sentenza del Tribunale Costituzionale spagnolo che ha dichiarato valida la legge che regola il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Approvata dal Parlamento nel luglio del 2005 per impulso del governo socialista di Zapatero, la legge fu fin da subito avversata dalla gerarchie cattoliche, che spinsero il Partito Popolare (Pp) allora all’opposizione a presentare un ricorso di incostituzionalità. Sette anni e varie diatribe legali dopo, otto giudici della massima corte spagnola si sono dichiarati a favore della legalizzazione dei matrimoni omosessuali, mentre tre si sono pronunciati contro. La sentenza ha evitato la creazione di un limbo legale per più di 23 mila coppie gay che hanno deciso in questi anni di sposarsi nello Stato iberico.
“Siamo davvero felici, è un diritto che ci siamo conquistate”, afferma Montse, mentre segue con lo sguardo la sua bambina sgambettare nel recinto delle caprette. “Tuttavia la nostra preoccupazione riguardava la condizione legale di Ruth”. Quando Montse e Mar si sono sposate, nel maggio del 2006, erano ‘già incinte’. Proprio per questo avevano deciso di registrare ufficialmente la loro unione. “È triste che siano dei giudici che non ti conoscono affatto a decidere se siamo una famiglia oppure no”, ribadisce Mar con una smorfia d’indignazione. “Se la nostra unione si chiama ‘matrimonio’, vuol dire che abbiamo determinati diritti. Ma se gli cambiano il nome”, spiega Montse, “significa che ce li stanno togliendo. Saremmo considerate cittadine di livello inferiore”.
“Sono io adesso a sentirmi discriminato!”, tuona dall’altro capo del telefono Benigno Blanco, presidente del Foro Spagnolo della Famiglia, la piattaforma che si batte contro i matrimoni omosessuali, l’aborto e l’eutanasia. Secondo Blanco, ex sottosegretario durante gli otto anni di governo di José María Aznar, “la sentenza che legalizza la cosiddetta ‘legge del matrimonio omosessuale’ cambia radicalmente la Costituzione spagnola e altera l’istituzione del matrimonio, che è composto per natura da un uomo e una donna”. Nel giugno del 2005, pochi giorni prima dell’approvazione della legge, il Foro della Famiglia convocò una manifestazione nel centro di Madrid a favore della famiglia tradizionale, a cui parteciparono centinaia di migliaia di persone. Ad aprire il corteo, vari esponenti nazionali del Pp e parecchi prelati, tra cui l’arcivescovo di Madrid Antonio María Rouco Varela, attuale presidente della Conferenza Episcopale Spagnola. “Non so più cosa rappresenti il matrimonio per le istituzioni spagnole”, ribadisce Blanco. “Lo hanno snaturato, hanno messo tutte le unioni nello stesso sacco”.
“È Blanco che non vuole essere uguale a noi. E se ne comprende la ragione”, ironizza Katy Pallàs, presidente dell’Associazione delle Famiglie Lgbt. Dal suo punto di vista, la legge rappresenta un impulso decisivo alla visibilità del collettivo omosessuale e un punto fermo nella lotta ai pregiudizi. “Sebbene sia cattolica e abbia una storia democratica recente”, spiega Pallàs, “la Spagna ha fatto enormi passi avanti sul fronte dei diritti civili e ora non vuole più tornare indietro”. Il Paese iberico, infatti, ha una delle legislazioni più avanzate in tema di diritti della comunità Lgbt, come quello alla parità di accesso per le coppie omosessuali all’adozione o alla tutela legale di chi decide di cambiare sesso. La società, in generale, è tra le più tolleranti d’Europa e le statistiche ufficiali lo dimostrano: due terzi della popolazione accetta di buon grado il matrimonio omosessuale, una cifra che raggiunge il 76 per cento tra i giovani. Dati che sono stati presi in considerazione anche dai giudici del Tribunale Costituzionale per redigere la sentenza.
D’altra parte, anche all’interno del governo del Pp le reazioni alle sentenza sono state contraddittorie. Se il ministro dell’Interno Fernández-Díaz, esponente dell’ala più conservatrice del partito, aveva commentato pubblicamente che considerava “il matrimonio solo come l’unione tra un uomo e una donna”, il ministro della Giustizia Ruíz-Gallardón – che da sindaco di Madrid aveva celebrato matrimoni tra persone dello stesso sesso – al conoscere la sentenza affermava che il governo non avrebbe apportato nessuna modifica alla legge. Una timida apertura confermata dal silenzio ambiguo di Mariano Rajoy, che evitava così un ulteriore e indesiderato fronte di conflitto politico. “Quello che sta succedendo qui, in Francia, negli Usa”, conclude Pallàs, “ci fa prevedere un effetto a catena anche in altri Paesi occidentali. Se le gerarchie cattoliche non lo accettano, è un problema loro”.
“Sarei disposto a promettergli la luna purché accetti di sposarmi in chiesa”. Ferrán Rodríguez ha 48 anni e quasi la metà li ha trascorsi accanto al suo compagno Josep Borràs. Ferrán vive la fede cattolica in maniera fervida, ma è estremamente critico con le posizioni della Chiesa sull’omosessualità. “Come credente, considero l’amore tra me e Josep un’espressione dell’amore di Dio per l’umanità”, spiega mentre fissa lo sguardo sul volto del suo compagno sedutogli accanto. “Decidere di sposarci è stata una rivendicazione politica, una presa di posizione davanti a tutti i poteri, incluso quello religioso”, ribadisce Josep, che ha 52 anni e ha vissuto gli ultimi colpi di coda della repressione franchista. La coppia si è sposata nel novembre del 2006 e la notizia della sentenza è stato un motivo ulteriore per festeggiare il loro anniversario. Tuttavia, non nascondono che il cammino per il pieno riconoscimento dei diritti degli omosessuali è disseminato di ostacoli. Ferrán, ad esempio, insegna in un liceo privato religioso e ammette che associare il nome della scuola al suo gli creerebbe problemi di lavoro. Ma questo non scalfisce il suo ottimismo. “Quando tra 20 anni ci guarderemo indietro, sarà difficile spiegare le discriminazioni di cui siamo oggetto ora”, argomenta Ferrán, “e perfino la Chiesa accetterà, prima o poi, i matrimoni omosessuali”. “In quel momento, siccome so che lo renderebbe felice”, conclude Josep con un sorriso, “accetterò che mi porti all’altare”.
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