L’Onu considera la Cina uno dei 13 Paesi più colpiti dalla scarsità di acqua. Pechino deve affrontare delle statistiche interne che dimostrano la scomparsa di 28 mila fiumi in 20 anni e la crescente desertificazione di alcune parti del Paese. I terreni desertificati e quindi improduttivi gravano sull’economia cinese per 800 milioni di euro.
Secondo quanto emerso dal primo censimento nazionale delle acque, attualmente esistono in Cina solo 22.909 fiumi con una superficie di almeno 100 chilometri quadrati rispetto ai 50 mila del 1990. Il censimento ha inoltre evidenziato una diminuzione della qualità dell’acqua, a tal proposito le Nazioni Unite hanno puntato il dito contro la Cina, accusata di scarico di rifiuti eccessivo nelle acque dei suoi fiumi. Un altro dato allarmante è legato al deserto del Gobi, che avanza di 3.600 chilometri quadrati ogni anno.
Le autorità affermano che i cambiamenti climatici hanno influito in maniera rilevante su questo fenomeno, ingrandito inoltre dagli errori dei cartografi precedenti, protagonisti di stime inesatte sul numero dei fiumi presenti in Cina. Per molti studi indipendenti però la scomparsa dei corsi d’acqua è una conseguenza diretta di politiche di sviluppo mal concepite e senza consultazione pubblica.
Secondo Ma Jun, funzionario dell’Istituto degli affari pubblici e ambientali, la situazione necessita di grande attenzione e c’è bisogno di nuove politiche di sviluppo, più sostenibili. “Una causa del fenomeno potrebbe essere riconducibile alla carenza di piogge nelle zone di montagna dovuta alla desertificazione delle foreste, mentre un’altra causa è certamente l’eccessivo sfruttamento delle riserve idriche sotterranee”.
“Dobbiamo prendere le misure in anticipo, piuttosto che gestire questi problemi con fretta ora, a causa del disturbo avvertito dalla società”, ha detto Li Keqiang, nuovo premier della Cina che ha promesso maggiore trasparenza sugli argomenti legati all’inquinamento.