Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
  • Esteri
  • Home » Esteri

    I figli negati

    La sterilizzazione forzata vìola il diritto alla maternità e comporta un grave trauma psicologico per le donne sieropositive

    Di Lorena Cotza
    Pubblicato il 10 Nov. 2014 alle 15:46 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 08:39

    “Perché vuoi avere un figlio se sai di essere malata?”. Per le donne sieropositive, non è raro sentirsi rivolgere questa domanda. Glielo chiedono amici e parenti, ma anche dottori e infermieri.

    In molte parti del mondo l’idea che una donna affetta da Hiv possa mettere al mondo un bambino non è socialmente accettata. E quando le donne non rinunciano di loro spontanea volontà ad avere un figlio, in alcuni ospedali si ricorre a una soluzione estrema: la sterilizzazione forzata.

    Emilia Handumbo è una donna namibiana sieropositiva. Nonostante i medici avessero cercato di scoraggiarla, ha deciso di avere un figlio. Racconta di aver firmato i documenti per la sterilizzazione poco prima di partorire in un ospedale pubblico, senza rendersi conto a cosa stesse andando incontro.

    “Pensavo fosse soltanto un’autorizzazione per il parto cesareo”, dice Emilia in un’intervista alla Cnn. “Ma poi l’infermiera ha detto che stavano per chiudermi e ho capito di aver firmato un documento che mi obbligava a essere sterilizzata”.

    Grazie ai trattamenti anti-Aids, il bambino di Emilia è nato sano e non è portatore del virus Hiv. Ma la donna non potrà avere altri figli: dopo il parto è stata sottoposta a un intervento di chiusura delle tube, un tipo di sterilizzazione irreversibile.

    In seguito all’operazione, Emilia e altre due madri sieropositive hanno deciso di denunciare l’ospedale che le aveva sterilizzate. Il 3 novembre scorso, la Corte Suprema della Namibia ha riconosciuto che quello estrapolato alle donne non era “consenso informato” e ha confermato in appello una sentenza che obbliga lo stato a offrire loro un risarcimento.

    Si tratta del primo caso di questo tipo in Africa e la decisione è stata accolta con grande soddisfazione dalle associazioni che si occupano di Hiv e Aids.

    “Questa sentenza ha conseguenze importanti non solo per le donne sieropositive in Namibia, ma anche per tutte le donne sterilizzate nel resto dell’Africa”, ha commentato Priti Patel, direttore dell’associazione per i diritti umani Southern Africa Litigation Center.

    Nonostante non sia ufficialmente riconosciuta da alcun governo, la sterilizzazione forzata viene eseguita in numerosi Paesi. Oltre alla Namibia, sono stati denunciati casi in America Latina, Indonesia, Sudafrica, Kenya, Uganda e Zambia.

    Non ci sono dati certi sul fenomeno, ma le organizzazioni del settore affermano che si tratta di una pratica diffusa e che il caso di Emilia rappresenti solo “la punta dell’iceberg”.

    Oltre a violare il diritto alla maternità, la sterilizzazione comporta un grave trauma psicologico e acuisce le discriminazioni di cui le donne sieropositive sono vittime.

    “Il danno è permanente e non è solo fisico”, dice Corinna van Wyk, uno degli avvocati che si è occupato del caso in Namibia. “Queste donne sono e saranno marginalizzate nelle loro comunità per il fatto di non poter avere figli”.

    Sthembiso Mthembu, attivista per i diritti umani sudafricana, è stata sterilizzata quando aveva 22 anni. Oggi ne ha 41 e dice che non riuscirà mai a superare il trauma dell’abuso subìto.

    Si era recata in ospedale in preda a forti dolori e i dottori le avevano diagnosticato una ciste cervicale. Ma le avevano anche detto che – perché sieropositiva – potevano operarla solo se avesse accettato di essere sterilizzata.

    “Continuo a pensarci ogni giorno”, racconta Sthembiso in un’intervista a The Guardian. “Sono riuscita ad andare avanti solo perché sono andata a scuola, ho un buon lavoro e posso permettermi di pagare cure psicologiche. Perché è una violenza che ti deprime, ed è una depressione che non va più via”.

    Secondo le testimonianze raccolte dall’organizzazione Namibian Women’s Health Network, spesso la sterilizzazione viene proposta alle donne come unica scelta. Altre vengono minacciate: se si rifiutano di essere sterilizzate, non ricevono i farmaci retrovirali indispensabili per sopravvivere o il latte per i bambini.

    Altre ancora, soprattutto se analfabete, firmano i fogli di autorizzazione senza comprenderli. In molti casi, inoltre, l’intervento di chiusura delle tube è descritto solo con sigle mediche e un linguaggio specialistico poco chiaro.

    La sterilizzazione forzata è uno dei numerosi abusi subìti dalle donne sieropositive in campo sanitario. Nonostante sempre più persone ricevano terapie adeguate, sono 35 milioni le persone al mondo portatrici di Hiv e 22 milioni quelle che ancora non ricevono il trattamento salvavita.

    Come si legge nello studio condotto dall’International Community of Women Living with Hiv/Aids, in molti ospedali i pazienti sieropositivi vengono trattati in modo ostile e tenuti in stanze separate. La sentenza della Namibia lancia un segnale importante, ma la pratica della sterilizzazione forzata e gli altri trattamenti discriminatori restano ancora fortemente radicati.

    Leggi l'articolo originale su TPI.it
    Mostra tutto
    Exit mobile version