“Io stessa preparavo il tè e da mangiare per i soldati quando venivano a sedersi sotto l’ombra del nostro ulivo. Mia madre mi aveva sempre raccomandato di aver cura di quell’ulivo. Anche in tempi duri, siamo sopravvissuti grazie al suo olio. Adesso non mi resta che dirgli addio e chiedere perdono a mia madre per non essere riuscita a salvarlo”.
Quando tutto ciò che hai è la tua terra, è difficile non amarla. Hajja Zaynab viveva a Rafah, nel nord del Sinai, prima che fosse costretta dall’esercito egiziano ad abbandonare la sua terra. Tra luglio 2013 e agosto 2015, l’esercito ha raso al suolo la sua casa e altri 3.255 edifici a Rafah e dintorni.
Le demolizioni hanno avuto inizio nel 2013, quando sono aumentati gli attacchi di stampo jihadista nella penisola. Anche se sono distanti meno di 500 chilometri, Rafah è ben diversa da Sharm el-Sheikh, una delle principali mete turistiche della zona: si affaccia sul mare, ma non vi sorgono molti resort o alberghi, vista la bassa affluenza turistica in questa parte della regione, dovuta alla presenza sempre maggiore di islamisti e la vicinanza alla striscia di Gaza.
È proprio per isolarla da quest’ultimo lembo di terra che il governo egiziano ha deciso di creare una sorta di “zona cuscinetto” al confine. Per il momento, l’esercito ha distrutto tutti gli edifici e terreni agricoli a un chilometro da Gaza. L’intenzione è quella di continuare fino a liberare un’area pari a 79 chilometri quadrati, inclusa l’intera città di Rafah che conta ancora 78mila abitanti.
Un rapporto dell’agenzia per i diritti umani Human Rights Watch (Hrw), pubblicato questa mattina, accusa però il governo egiziano di aver sfrattato e demolito le case delle famiglie di Rafah in violazione della legge internazionale. Hrw sostiene che le famiglie non ricevono abbastanza preavviso, non dispongono di abitazioni temporanee dopo lo sfratto, e non ricevono un’adeguata compensazione per le loro case e i loro terreni.
Il governo insiste che le operazioni in corso serviranno a chiudere i tunnel sotterranei di contrabbando tra Gaza e Rafah, dai quali, sostiene, gli affiliati dello Stato Islamico ricevono armi, combattenti e supporto logistico. Tuttavia, Hrw ribatte che non ci sono prove a sufficienza a sostegno di queste affermazioni e che è più probabile che gli islamisti abbiano ottenuto le armi dalle postazioni militari conquistate o dalla Libia.
Inoltre, l’organizzazione per i diritti umani si chiede perché, invece di demolire le case della popolazione civile, i soldati egiziani non abbiano utilizzato le attrezzature specifiche per il rilevamento dei tunnel per cui sono stati addestrati dagli americani. Queste attrezzature gli avrebbero fornito l’opportunità di distruggere i tunnel senza la necessità di evacuare intere famiglie.
(In basso, immagini satellitari mostrano il centro di Rafah prima e dopo le demolizioni)
La legge internazionale vieta le evacuazioni forzate, ovvero la rimozione temporanea o permanente di individui e famiglie dalla loro terra senza alcuna garanzia di protezione. Eppure, secondo Hrw, è proprio questo che il governo del Presidente Abdel Fattah al-Sisi starebbe facendo.
Numerose famiglie hanno vissuto nell’area di Rafah per generazioni e generazioni, costruendo le proprie case accanto a quelle dei propri membri familiari, come vuole la tradizione. Adesso, in molti si trovano sparpagliati per il territorio egiziano, lontani dai propri parenti e senza alcun mezzo di sussistenza. I loro terreni ricchi di ulivi, palme da datteri, e agrumeti sono stati completamente distrutti nel corso delle operazioni.
Il governo egiziano non sembra però intenzionato a porre fine alle demolizioni.
“Quando prendiamo le misure di sicurezza nel Sinai, tali misure confermano la nostra sovranità nella regione, che è parte integrante del territorio egiziano. Ci impegniamo a non permettere a nessuno di lanciare attacchi dal nostro territorio contro i Paesi vicini o contro Israele,” ha detto al-Sisi in un’intervista televisiva nell’ottobre 2014.
“La zona cuscinetto sarebbe dovuta essere stabilita anni fa. Abbiamo preso questa decisione di accordo con la popolazione locale, che verrà giustamente compensata,” ha aggiunto.
Nessun portavoce del governo ha ancora commentato il rapporto di Hrw.