Hong Kong, lunga mano della Cina: arresti per nuova legge sulla sicurezza
Non è un 1° luglio come tutti gli altri quello di Hong Kong, abituata ogni anno a festeggiare in questa data l’anniversario della restituzione dell’ex colonia britannica alla Cina nel 1997 e che oggi invece vive il primo giorno di applicazione della nuova legge sulla sicurezza nazionale imposta, di fatto, da Pechino. Fin dal mattino sono state decine gli arresti tra i manifestanti, le cui proteste adesso possono essere classificate come “azioni con finalità di secessione e sovversione”. Una legge, quella sulla sicurezza nazionale, giustificata dalla Cina come uno strumento per salvaguardare “l’alto grado di autonomia” di Hong Kong e garantire stabilità alla città dopo le proteste dello scorso anno. Il provvedimento è stato varato ieri, con un tempismo di certo non casuale visto l’anniversario di oggi. E rappresenta un ulteriore passo nella strategia della Cina di estendere la sua lunga mano su Hong Kong, limitandone l’autonomia.
Gli arresti
In questo inedito anniversario del 1° luglio, i cittadini di Hong Kong si sono ritrovati dunque a protestare anche contro la nuova legge sulla sicurezza nazionale. Circa un centinaio di persone, ad esempio, si sono riunite con mascherine e ombrelli nel quartiere di Causeway Bay, nonostante il divieto di assembramenti imposto dalle autorità. I poliziotti, allora, hanno sollevato dei particolari cartelli viola, sui quali veniva spiegato che i manifestanti e i loro striscioni potevano essere puniti in base alla nuova legge. Davanti all’avanzare delle proteste, però, gli agenti sono passati alle maniere forti: prima scariche con il cannone ad acqua, per disperdere la folla, poi i primi arresti. Circa 60 i manifestanti fermati finora: il primo in assoluto è stato un uomo che girava con una bandiera pro-indipendenza dalla Cina. Tra gli arrestati di oggi, due sono accusati proprio di aver violato le disposizioni della nuova legge.
Cosa prevede la legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong
La nuova norma, di fatto, rende un reato qualsiasi tentativo di minare l’autorità della Cina. Una formulazione volutamente vaga, che non fa altro che allargare la sfera di influenza della polizia e aumentare il numero di fattispecie considerabili reati. Inoltre, prevede che Pechino inserisca nelle istituzioni delle città della regione autonoma alcune agenzie e alcuni funzionari, con ampi poteri di controllo e intervento. Secondo gli analisti, però, la nuova legge sulla sicurezza nazionale potrebbe diventare uno strumento per limitare le libertà politiche e sociali della regione autonoma e per silenziare il dissenso del popolo di Hong Kong. Le pene previste dalla legge per sovversione, sedizione o terrorismo vanno dai tre anni all’ergastolo.
“Per quella piccola minoranza che mette a rischio la sicurezza nazionale, questa legge sarà una spada che incombe sulle loro teste“, ha sottolineato Luo Huining, direttore dell’Ufficio di collegamento del governo centrale cinese a Hong Kong.
L’appello di Joshua Wong
Ieri dopo il voto del Parlamento cinese, l’attivista Joshua Wong ha annunciato la sua decisione di lasciare il gruppo per la democrazia a Hong Kong, Demosisto, insieme a figure di primo piano come Nathan Law, Jeffrey Ngo e Agnes Chow. “Se la mia voce non verrà ascoltata presto, spero che la comunità internazionale continuerà a parlare per Hong Kong e intensificherà gli sforzi concreti per difendere il nostro ultimo pezzo di libertà”, ha scritto Wong su Twitter. “È la fine della Hong Kong che il mondo conosceva. Con poteri spazzati via e una legge indefinita, la città diventerà uno Stato di polizia segreta”, ha aggiunto.
“Se dovesse passare questa legge, c’è il rischio che io finisca in un carcere cinese e che venga silenziato e imbavagliato per sempre. La mia vita a rischio? Sì, potrei dover scontare una pena per più di 10 anni”, spiegava in un’ intervista-video esclusiva rilasciata al direttore Giulio Gambino l’ormai ex leader del Movimento Demosisto Joshua Wong.
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