Hong Kong: estradizione
Domenica 9 giugno i cittadini di Hong Kong sono scesi in piazza per protestare contro la legge sull’estradizione in Cina che permetterebbe alla Repubblica popolare di processare i sospetti che risiedono nell’ex colonia britannica.
La legge sull’estradizione è stata presentata il 10 giugno e il 12 era attesa la seconda lettura: la discussione però è stata rimandata a causa delle proteste.
La norma ha infatti scatenato la reazione dei cittadini, che hanno dato vita alla protesta più importante dal 1997, quando Hong Kong è tornata sotto il controllo di Pechino.
L’accusa dei critici è che la Cina stia cercando di interferire ancora di più sulla vita dei cittadini di Hong Kong e di violare nuovamente lo statuto speciale concesso all’ex colonia 22 anni fa che prende il nome di “One country, two systems”.
Hong Kong fa parte di un unico paese, la Cina, ma può contare su un sistema differente rispetto alle altre città sotto il controllo di Pechino.
Hong Kong proteste
Più di un milione di persone il 9 giugno si sono riversate per le strade di Hong Kong per manifestare contro la legge sull’estradizione: le proteste sono proseguite anche nei giorni successivi, con i manifestanti che hanno occupato le strade del quartiere governativo.
Momento di massima tensione si è raggiunto il 12 giugno, giorno in cui era attesa la discussione della legge sull’estradizione: alcuni dei manifestanti sono riusciti a entrare nella sede del parlamento, mentre la polizia in tenuta antisommossa ha usato gas lacrimogeni e fumogeni.
Come detto, le proteste di giugno sono le più importanti che si siano mai tenute a Hong Kong dal 1997: questa volta hanno preso parte non solo studenti, insegnanti, giovani e lavoratori, ma anche imprenditori e lobbisti.
La legge sull’estradizione è vista come una pericolosa ingerenza da parte di tutta la società, perché intacca non solo i diritti dei normali cittadini ma anche gli interessi economici dell’ex colonia.
Estradizione: cosa dice la legge
La legge permetterebbe alla Cina di estradare i cittadini di Hong Kong sospetti e di processarli nei tribunali di Pechino.
Il capo del governo dell’ex colonia, la filo-cinese Carrie Lam, ha difeso la misura affermando che la legga serve per colmare un vuoto legislativo ed evitare che i criminali cerchino rifugio nella città.
Chiunque sia accusato di un crimine con una pena superiore ai sette anni di detenzione può essere estradato in Cina dietro parere positivo del capo dell’esecutivo e a seguito di una prima lettura dei tribunali. L’estradizione sarebbe valida anche verso Taiwan e Macao.
La legge è stata pensata dopo che un ragazzo di 19 anni di Hong Kong è fuggito dalla Cina verso l’ex colonia dopo aver ucciso, secondo l’accusa, la sua fidanzata a Taiwan. Taipei ne aveva chiesto l’estradizione, ma la richiesta non è stata soddisfatta perché non vi è un accordo in merito.
Le interferenze esterne
La Cina ha detto fin dall’inizio che la proposta di legge era stata ideata e avanzata dal governo di Hong Kong e tramite i suoi media ha definito eterodirette dall’esterno le manifestazioni dei cittadini dell’ex colonia.
Pechino parla di “forze straniere” che vogliono danneggiare il governo centrale di Hong Kong e i suoi rapporti con la Cina.
“Alcuni apparentemente fuorviati dalle intenzioni dei cambiamenti, mentre altri stavano mettendo in atto manovre per promuovere la loro agenda politica”, scrivono i media vicini a Pechino.
Un riferimento ben poco velato al governo degli Stati Uniti, che da un anno sta portando avanti una guerra commerciale con la Cina.
“Un paese, due sistemi”
Hong Kong è passata nuovamente sotto il controllo della Cina nel 1997 dopo 156 anni come colonia dell’Impero britannico.
L’accordo con la Cina prevedeva una tutela delle libertà civili e dei diritti umani di cittadini di Hong Kong per i successivi 50 anni, dando così vita a due sistemi diversi in vigore rispettivamente nell’ex colonia e nel resto del paese.
Il potere è nelle mano del Consiglio Legislativo (il parlamento) composto da 70 membri, eletti in parte per via diretta e con suffragio universale e in parte in via indiretta dai collegi funzionali.
Si tratta di collegi a base limitata che rappresentano settori nevralgici dell’ex colonia.
Il capo dell’Esecutivo viene nominato da un Comitato elettorale composto da 1.200 membri e la loro scelta deve ricevere il via libera di Pechino.
Le maggiori differenze tra Cina e Hong Kong si ritrovano a livello giuridico ed economico: nell’ex colonia vige il sistema del common law e l’ex colonia ha una maggiore libertà a livello economico, diventando così un hub finanziario globale.