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    La concretezza onirica di Haruki Murakami

    L'elefante scomparso e altri racconti

    Di TPI
    Pubblicato il 12 Gen. 2019 alle 10:00 Aggiornato il 12 Gen. 2020 alle 11:54

    Haruki Murakami è un nome ormai noto, padre di grandi successi letterari e vincitore di considerevoli premi. Autore giapponese di narrativa e saggistica, ma anche fine traduttore, dopo diverse travagliate esperienze di vita, intorno agli anni ottanta, sembra scoprire il suo talento letterario quasi d’improvviso, con una conseguente prolificità degna di nota.

    Nel 1985 Murakami pubblica una raccolta composta da diciassette racconti intitolata: L’elefante scomparso e altri racconti.

    Ciò che guida ed accompagna durante il percorso di queste storie semplici e lineari è una la lingua limpida, mai pomposa, esagerata, apprezzabile per la sua puntualità tagliente, certamente esito di una mirata e lungimirante ammirazione per maestri quali Dostoevskij, Salinger, Čechov. Un linguaggio agevole che sembra riappropriarsi della sua funzione primigenia, la comunicazione.

    Le storie si susseguono moltiplicando i personaggi ben strutturati e solidi, che ostentano apparentemente una leggibilità al limite del banale. Sembrano invitare a un’ empatia spontanea e a una partecipazione attiva e consapevole nelle azioni in svolgimento.

    La chiave di lettura che garantisce la svolta è una presa di coscienza nell’osservare tutti questi elementi di stabilità, che tendono a confortare il lettore e tenerlo saldo e protetto nella completa immersione delle vicende, che diventano poi guide a cui affidarsi mentre ci si addentra in un universo completamente surreale, stravolto e dai tratti quasi onirici, all’interno del quale l’epilogo non è mai scontato, ed anzi apre la strada a possibilità neppure contemplabili.

    È un vero e proprio oblio narrativo che non sembra portare a nessuna univoca conclusione. Impossibile non percepire, pagina dopo pagina, un senso di incompiutezza e disorientamento, alla ricerca di un senso e di una logica latitante che trasmette una recondita impressione di vuoto e ansia.

    Rigore, misticismo e vaneggiamenti, tutto sembra convivere nell’opera di Murakami, attraverso una sinergia sorprendente e ricca di suggestioni.

    “In qualche parte della mia testa, del mio corpo, del mio essere stesso, c’era una sorta di perduto mondo sotterraneo che disturbava sottilmente il mio modo di vivere. No, anzi, non sottilmente. Con violenza. In modo incontrollabile.”

    di Ludovica Valentino per Culturificio

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