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    Libia, Haftar tiene in ostaggio 18 pescatori siciliani e chiede in cambio 4 scafisti libici. “La Farnesina dice di stare tranquilli”

    Illustrazione di Emanuele Fucecchi
    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 14 Set. 2020 alle 17:44 Aggiornato il 14 Set. 2020 alle 17:58

    Sono trascorsi ormai 14 giorni da quando i militari del generale Kalifa Haftar hanno sequestrato due pescherecci italiani di Mazara del Vallo e trattenuto 18 pescatori. La vicenda viene monitorata dalla Farnesina, che dalla sera dell’agguato sta trattando il rilascio degli equipaggi dell’Antartide e del Medinea. I due motopesca sono tuttora ancorati nel porto di Bengasi, mentre i marittimi sono stati prima interrogati e poi trasferiti in un’altra struttura da cui non possono uscire liberamente, di fatto sono ostaggi del generale Khailifa Haftar. Agli armatori viene contestata la presenza dei loro pescherecci all’interno delle 72 miglia (sessanta in più delle tradizionali 12 miglia), che la Libia dal 2005 rivendica unilateralmente come acque nazionali, in virtù della convenzione di Montego Bay che dà facoltà di estendere la propria competenza fino a 200 miglia.

    Una vicenda che non sembrerebbe avere esclusivamente a che fare con la pertinenza delle acque territoriali, dove i due pescherecci si trovavano al momento del fermo, ma che riguarderebbe anche una vera e propria rivalsa politica nei confronti dell’Italia. A suffragare questa tesi ci sarebbe la proposta avanza negli ultimi giorni dai militari di Haftar che chiedono l’estradizione di 4 scafisti libici condannati a 30 anni di carcere dalla giustizia italiana, ma conosciuti in Libia come giovani promesse del calcio, in cambio della liberazione dei 18 pescatori trattenuti a bordo dei due pescherecci di Mazara del Vallo.

    La Marina libica legata all’esercito del generale Khalifa Haftar che controlla la zona di Bengasi ha avuto ordine dal Comando generale, cioè dal generale Haftar, di non rilasciare i pescatori “fino a quando i calciatori libici imprigionati in Italia non saranno liberati”.

    Tutti e 4 gli scafisti furono condannati dalla corte d’assise di Catania e poi dalla corte d’appello etnea, con l’accusa di aver fatto parte del gruppo di scafisti responsabili della cosiddetta ‘Strage di Ferragosto’ in cui morirono 49 migranti. Cinque anni fa i quattro libici, tutti fra i 23 e i 25 anni, Joma Tarek Laamami, Abdel-Monsef, Mohannad Jarkess e Abd Arahman Abd Al Monsiff, con quattro marocchini, anche loro condannati e reclusi in carcere, furono accusati di non avere liberato i 49 migranti rinchiusi in stiva. Per questo il procuratore Zuccaro considera l’eventualità di “uno scambio di ostaggi” una enormità giuridica: “Non penso che verremo interpellati, ma da operatori del diritto saremmo assolutamente contrari. Sarebbe una cosa ripugnante”.

    Tra i pescatori trattenuti attualmente dai militari di Haftar, oltre agli equipaggi dei due motopesca, vi sono il comandante del peschereccio ‘Anna Madre’ di Mazara del Vallo e il primo ufficiale del ‘Natalino’ di Pozzallo. Questi ultimi due pescherecci la sera dell’accerchiamento erano riusciti ad invertire la rotta, ma senza i due uomini. In questi giorni in molti sono intervenuti per chiedere il rilascio dei pescatori e dei motopesca sequestrati, tra cui la sezione regionale di Agripesca che ha minacciato di “bloccare l’intera flotta peschereccia”, che a Mazara del Vallo è composta da un centinaio di imbarcazioni d’altura. Anche i familiari dei marinai si dicono pronti a “partire per Roma assieme ad un bel gruppo di pescatori, perché non ci si può dimenticare di cittadini italiani che si trovano bloccati in un paese in guerra”.

    “É facilmente comprensibile l’angoscia dei familiari, nonostante la diplomazia sia al lavoro, non ci sono garanzie che i pescatori vengano liberati”, racconta a TPI Gaspare Bilardello, ex armatore e fondatore dell’associazione Isola di Mazara del Vallo. “Certamente si capisce lo stato di amarezza per l’immobilismo della politica. Se la situazione è quella dello scambio di ostaggi, certo diventa un po’ più complicata la situazione”.

    “La storia è nota: i libici considerano quell’areale di pesca come acque nazionali. La comunità europea non interviene e la Libia fa come vuole, estendendo i limiti delle proprie acque territoriali fino a 75 miglia, quasi dentro casa nostra. Con una interpretazione forzosa e non contestata da nessuno di una convenzione che glielo permette ma solo in parte. Il problema è: chi può essere in grado oggi di riconvocare l’organizzazione delle Nazioni unite per modificare un trattato? A oggi nessuno”, prosegue Bilardello. “L’indicazione che viene data è quella di non andare a pescare in quella zona, senza dire se si tratta di acque internazionali o territoriali. Più semplice chiedere ai pescatori di non andare lì, la politica così si mette al riparo dicendo di non andare, ma gli aerali di pesca dove poter andare sono sempre meno, quindi la necessità ci spinge a inoltrarci. Questo dubbio aleggia e mette in difficoltà i pescatori”.

    Per il ministro degli Esteri Luigi Di Maio si tratta di un caso particolarmente spinoso. Di Maio difficilmente accetterà la proposta delle autorità libiche, ma deve fare i conti con le proteste dei familiari dei pescatori trattenuti in Libia che accusano il governo di aver fatto poco per liberare gli italiani. E sull’arresto dei pescatori pende un ulteriore dubbio: che sia stata una vera e propria ritorsione contro la visita del ministro avvenuta proprio il primo settembre a Tripoli. In quel giorno il ministro degli Esteri, accompagnato dal sottosegretario Manlio Di Stefano, è stato prima a Tripoli e poi a Tobruk, incontrando il primo ministro Fayez al Serraj, il cui governo è l’unico considerato legittimo dall’ONU, e poi Aguila Saleh, presidente del parlamento rivale nell’est del paese. Poche ore dopo la visita, è arrivato il sequestro dei due pescherecci italiani.

    “È più di una coincidenza”, afferma Bilardello. “A poche ore dalla partenza di Maio c’è stato il sequestro delle navi da parte delle forze di Haftar. Le navi si trovavano a 35 miglia a nord di Bengasi che per la Libia sono acque territoriali, e che per il nodo mai risolto, per noi sono acque internazionali”. Dal 2005 a oggi sono stati fatti tantissimi sequestri dalla Libia ma ora c’è anche il sospetto che questo sequestro sia frutto di una rivalsa per l’intensificarsi dei rapporti tra Di Maio e al Serraj.

    “Stiamo parlando di italiani bloccati in un Paese in guerra. Da giorni non si hanno loro notizie e non comunicano con i familiari. La diplomazia dice di stare tranquilli, ma sono passati 14 giorni e sono troppi”, conclude Bilardello.

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