Si ispirano agli Hezbollah libanesi, combattono da dieci anni contro l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, sono alleati di ferro dell’Iran e sfidano Israele per porre fine alla guerra a Gaza: i ribelli Houthi, bombardati da Usa e Regno Unito, controllano il nord e l’ovest dello Yemen.
Perché si chiamano Houthi?
Ufficialmente il movimento si chiama “Ansar Allah”, letteralmente “I difensori di Dio”, ma il nome con cui tutti li conoscono deriva dal loro leader storico Hussein Badr-al-Din al-Houthi che nel 1992 fondò “al-Shabab al Mumin”, i “Giovani credenti”, nel governatorato di Sa’da, nel nord del Paese arabo a maggioranza sciita.
Il consenso degli Houthi trova infatti le sue radici nella minoranza sciita (circa il 35% della popolazione yemenita) che si rifà alla scuola coranica Zaydista, il cui riferimento è Zayd ibn’ Ali ibn al-Husayn, figlio del quarto imam sciita morto nell’VIII secolo d.C. (una visione ben diversa dello sciismo rispetto alla versione iraniana, riconducibile alla scuola Jafarista).
Ma qui ragioni storiche, religiose e tribali si intrecciano con la politica. La monarchia teocratica mutawakkilita, di ispirazione Zaydista, controllò lo Yemen del Nord tra la caduta dell’Impero Ottomano nel 1918 e i primi anni Sessanta quando un golpe militare sostenuto dall’Egitto rovesciò il regime, spostando anche la capitale da Taiz a Sana’a.
Fu l’inizio di una guerra civile durata cinque anni (1962-1967) in cui, anche con l’aiuto dell’Unione Sovietica, la Repubblica Araba Unita (Egitto e Siria) appoggiò i golpisti, mentre Giordania e Arabia Saudita parteggiavano per la monarchia. Alla fine i nazionalisti arabi ebbero la meglio, la famiglia reale lasciò il Paese e i regni del Golfo riconobbero il nuovo Stato.
Intanto, nel 1978, con un’altra serie di golpe andò al potere il generale di confessione zaydita Ali Abdullah Saleh, che avrebbe governato per i successivi 33 anni, unificando anche lo Yemen nel 1990 quando la Repubblica Araba del Nord e la Repubblica Democratica Popolare del Sud accettarono la riconciliazione, portando sempre più al potere le élite sunnite.
Le radici del movimento Houthi
All’inizio degli anni Novanta, i “Giovani credenti” controllavano una rete di scuole, campi giovanili e istituti per l’assistenza sociale offrendo un’alternativa ai movimenti sunniti sempre più di ispirazione wahabita legati al partito di governo di Saleh e che si rifacevano alla visione religiosa imperante nella vicina Arabia Saudita.
La loro opera sociale era così popolare che le autorità di Sana’a decisero persino di finanziarla, almeno fino alla fine degli anni Novanta. Tuttavia, la loro crescente popolarità e le critiche sempre più aspre rivolte prima al regime corrotto
di Saleh e poi alla guerra al terrorismo scatenata dagli Usa dopo l’11 settembre 2001 e alle politiche repressive di Israele contro i palestinesi portarono il movimento allo scontro con il governo.
Nel 2003, con l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati, gli Houthi proclamarono una serie di manifestazioni di piazza durante le preghiere del venerdì, scandendo slogan contro l’America e Israele che crearono le basi di uno scontro con il governo filostatunitense del Paese. Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Gli houthi, infatti, avevano già nel mirino della loro azione politica il governo, non solo in quanto filoamericano, ma in quanto ritenuto corrotto e responsabile della marginalizzazione degli sciiti e degli zayditi nelle aree dello Yemen settentrionale.
L’anno successivo Saleh scatenò la prima sanguinosa campagna di repressione contro il movimento da parte del governo filo-occidentale, facendo arrestare centinaia di seguaci degli Houthi e ordinando l’arresto del loro leader storico Hussein al-Houthi, che si era rifiutato di incontrare il presidente e che alla fine verrà ucciso.
Da allora, Ansar Allah, guidato dal fratello di Hussein, Abdul-Malik al-Houthi, cominciò ad armarsi e fomentare rivolte nel nord del Paese, ispirandosi sempre di più al movimento sciita libanese Hezbollah.
Le tensioni proseguirono per tutto il primo decennio degli anni Duemila finché nel 2011, sulla scia delle Primavere arabe, Ansar Allah appoggiò la rivolta popolare contro il regime di Saleh puntando a una maggiore autonomia per le regioni a maggioranza sciita.
La guerra in Yemen e a Gaza
Ma il fallimento del dialogo nazionale voluto dal neo-presidente (e vice di Saleh) Abd Rabbuh Mansour Hadi portò gli Houthi ad allearsi nuovamente con l’esercito fedele a Saleh, con cui nel settembre 2014 presero il potere nella capitale Sana’a, dopo aver portato in piazza migliaia di persone per protestare contro il taglio dei sussidi sul carburante. Con un’offensiva durata pochi mesi, tra il gennaio e il febbraio 2015, riuscirono a raggiungere Aden.
Da allora, una coalizione guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti ha sostenuto il governo internazionalmente riconosciuto di Hadi, rifugiatosi prima ad Aden e poi sempre più spesso nei territori di Riad, e dal 2022 il suo successore Rashad al-Alimi, che presiede il governo di unità nazionale guidato dal Consiglio direttivo presidenziale.
La guerra, con alterne fortune per i contendenti, è di fatto in una situazione di stallo da anni con gli Houthi che controllano saldamente il nord e l’ovest del Paese e le autorità legittime, coadiuvate dalla coalizione araba, che governano il resto dello Yemen, martoriato anche dal terrorismo jihadista di vari gruppi che si rifanno ad al-Qaeda e all’Isis.
Intanto Ansar Allah si è avvicinato sempre di più all’Iran che offre agli Houthi petrolio a buon mercato, protezione politica internazionale, addestramento e tecnologia militare. Così i ribelli yemeniti, che nel 2017 hanno ucciso l’ex alleato e presidente Saleh in una violenta lotta di potere, hanno sviluppato nuovi missili e droni in grado di colpire gli impianti petroliferi in Arabia Saudita e di minacciare persino Israele.
Alcune fragili tregue e il riavvicinamento mediato nel 2023 dalla Cina tra Arabia Saudita e Iran avevano fatto sperare la comunità internazionale nella possibilità di arrivare finalmente alla pace in Yemen ma la guerra a Gaza ha rimesso tutto in discussione.
Dopo l’inizio dell’offensiva israeliana sulla Striscia, gli Houthi hanno cominciato a lanciare razzi contro Israele e a minacciare le navi in transito nel mar Rosso dirette nei porti dello Stato ebraico o riconducibili a Paesi alleati di Tel Aviv per costringere il governo Netanyahu a fermare i raid su Gaza, mentre per tutta risposta Usa e Regno Unito hanno cominciato a bombardare lo Yemen controllato da Ansar Allah “per garantire la libera navigazione” nello stretto di Bab el Mandeb, fondamentale per l’economia mondiale e che molte compagnie occidentali hanno già cominciato a evitare.
In tutto questo, quasi 10 anni di guerra in Yemen hanno provocato almeno 377mila morti, 4 milioni di sfollati e 3 milioni di rifugiati all’estero mentre secondo le Nazioni Unite oltre 21,6 milioni di yemeniti hanno bisogno di assistenza umanitaria. Una tragedia che sembra non finire mai e che i recenti e sanguinosi sviluppi in Medio Oriente rischiano solo di aggravare.