Guerra in Ucraina, Zuckerberg legittima l’odio contro la Russia
Da arbitri neutrali a ultras. La parabola di Mark Zuckerberg e di Meta nell’invasione russa dell’Ucraina dimostra come le Big Tech passino spesso con eccessiva faciloneria da un estremo all’altro. Fino a ieri (prima della guerra), come avevamo spiegato anche qui su TPI, la propaganda e la disinformazione russa venivano fatte circolare su piattaforme come Facebook quasi come nulla fosse. Policy zoppe, moderazione di contenuti e sistema di etichettatura dei post inefficaci, hanno fatto sì che le bufale del Cremlino, specie quelle che riguardavano l’Ucraina, continuassero a fare danni liberamente.
Quando poi l’invasione si è concretizzata, e le Big Tech si sono giustamente schierate dalla parte degli invasi, si è passati all’estremo opposto, sdoganando l’hate speech. Su Facebook e Instagram sarà infatti possibile pubblicare messaggi di odio nei confronti di militari russi (ad eccezione dei prigionieri di guerra), così come invocare la morte di Vladimir Putin e del presidente bielorusso Lukashenko.
Legittimare il “devi morire” pubblico, anche nei confronti del peggiore degli uomini, sembra una maldestra e rozza scorciatoia per evitare di fare i conti con le proprie responsabilità. Proprio l’odio, unito alle fake news, è l’arma di cui si sono serviti i peggiori regimi per preparare il terreno ai crimini più orribili. E l’hanno fatto anche su piattaforme come Facebook. È accaduto con la persecuzione dei Rohingya in Myanmar, alimentata da bufale e hate speech. È accaduto nelle vicende che hanno coinvolto giornalisti e oppositori di dittatori, come il premio Nobel per la Pace Maria Ressa, oggetto di campagne denigratorie da parte del regime di Duterte nelle Filippine. Ed è accaduto anche con Putin e la propaganda anti-Ucraina della Russia.
Adoperarsi per costruire un ecosistema online realmente sano e funzionante è un processo lungo e faticoso, che richiede investimenti, scelte oculate e la chiara percezione delle proprie responsabilità pubbliche. Il contrario di una finta e comoda neutralità, ma anche della risposta all’odio con l’odio.