L’Air Force One tocca terra a Bruxelles con a bordo il presidente americano, che arriva nella capitale dell’Ue per partecipare al summit straordinario della Nato sull’Ucraina. Concluso il vertice con gli alleati, Biden prende il volo per Varsavia per arrivare a pochi chilometri dal cuore del conflitto che sta sconvolgendo l’Europa. Ma oltre al super blindato aereo presidenziale, tra gli Usa e l’Est-Europa il traffico aereo è intenso: prosegue infatti senza sosta il via vai di cargo carichi di armi e munizioni made in Usa diretti in Ucraina. Per il presidente Zelensky sono “ossigeno puro” per le sue truppe, che da più di un mese si oppongono all’avanzata dell’esercito russo. Per Washington e per la Nato sono il modo più semplice di sostenere Kiev senza intervenire direttamente nel conflitto, proseguendo la guerra per interposta persona. Ma oltre alle armi di produzione americana, dal Pentagono trapela un piano inaspettato per mettere in crisi il controllo russo dei cieli.
La lista dei “regali” di Biden a Kiev è lunga e ben fornita, a dominare le forniture militari sono i famosi Javelin, vera spina nel fianco dei russi, missili anticarro per fanteria che possono essere trasportati a spalla e adoperati da soldati con scarsa preparazione. Presenti anche gli Stinger, stessa tipologia d’arma ma lanciano razzi terra-aria e poi elicotteri, sistemi radar, fucili di precisione e soprattutto oltre 60 milioni di unità di munizioni per armi leggere, lanciagranate e mortai e 25mila set di giubbotti antiproiettile ed elmetti. Oltre agli Usa più di 25 nazioni si sono unite nell’acquisto e nella consegna di armi per sostenere lo sforzo bellico dell’Ucraina. L’Ue ha firmato un pacchetto da 500 milioni di euro, il primo nella storia dell’Unione destinato ad armare un Paese terzo. Nemmeno l’Italia si chiama fuori, il governo ha infatti approvato il trasferimento di equipaggiamento militare tra cui mortai, missili Stinger, mitragliatrici pesanti Browning, munizioni, razzi anticarro, elmetti e giubbotti antiproiettile…Continua a leggere l’articolo sul settimanale The Post Internazionale-TPI: clicca qui