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    Nessuno vuole davvero scaricare Putin: il sospetto di Zelensky che spaventa gli Usa

    Credit: AP Photo

    Una No-Fly Zone sull’Ucraina, altre armi e più fondi a Kiev. Il presidente ucraino ritiene che il sostegno dell’Occidente debba essere maggiore. Anche perché “tutti tengono la porta socchiusa” alla Russia e una vittoria di Mosca provocherebbe “una spaccatura tra Europa e Stati Uniti d'America”

    Di Andrea Lanzetta
    Pubblicato il 14 Giu. 2024 alle 16:33

    Nessuno può negare che Volodymyr Zelensky sia un comunicatore nato. Più che un’intervista, il suo ultimo colloquio avuto a metà maggio a Kiev con tre giornalisti del New York Times sembrava infatti un’interrogazione. Ma a fare le domande era il presidente dell’Ucraina. I suoi quesiti però non erano diretti tanto agli interlocutori quanto ai vertici degli Stati Uniti, della Nato e dei Paesi europei.

    Il copione, a oltre due anni dall’inizio dell’invasione russa, può apparire quasi monotono. In vista della “Conferenza di alto livello sulla pace in Ucraina”, convocata per richiesta di Kiev dal 15 al 16 giugno sul monte Bürgenstock nel cuore della Svizzera, e del vertice annuale dei capi di Stato e di governo della Nato, previsto a Washington D.C. dal 9 all’11 luglio, Zelensky ha invitato ancora una volta gli Usa e l’Europa a fare di più per difendere il suo Paese aggredito da Mosca. «Abbattete tutto ciò che sorvola i cieli dell’Ucraina», ha esortato. «E dateci le armi da usare contro le forze russe alla frontiera». Ma anche oltre, dentro i confini russi.

    Un obiettivo già parzialmente raggiunto malgrado le divisioni all’interno dell’Alleanza che però, in tempi di avanzata delle truppe del Cremlino verso la seconda città del Paese Kharkiv, evidentemente non basta. Allora, forse, serve toccare tasti più dolenti, anche a costo di spaventare la Casa bianca.

    Solite richieste
    La “lista della spesa” di Kiev non cambia molto da due anni. Malgrado i 102 miliardi di euro finora stanziati (e i quasi 76 promessi) dall’Europa e i 74 elargiti (oltre ai 24,7 assicurati in futuro) dagli Usa insieme ad armi, munizioni, carri armati e missili, per difendersi dalla Russia l’Ucraina continua a chiedere sempre nuovi mezzi militari e più fondi.

    Le richieste di Zelensky cominciano proprio dalle maggiori risorse necessarie e non sarebbe sufficiente nemmeno il piano appoggiato dall’Ecofin e in discussione al G7 di Borgo Egnazia per concedere nuovi prestiti a Kiev sfruttando i profitti inattesi generati dai beni congelati alla Russia dopo l’invasione. Per il presidente ucraino bisognerebbe invece trasferire direttamente questi fondi al Paese aggredito per finanziarne la difesa.

    Inoltre, gli alleati di Kiev dovrebbero imporre nuove sanzioni contro la Russia. In primis tagliare ogni legame diplomatico, chiudendo le ambasciate del Cremlino nei rispettivi Paesi, espellendone tutti i diplomatici e richiamando in patria i propri rappresentanti a Mosca. A questo andrebbero aggiunti nuovi provvedimenti restrittivi contro il personale dell’azienda statale russa Rosatom, che gestisce la centrale nucleare di Zaporizhzhia.

    Dal punto di vista militare invece, oltre al permesso di usare tutte le armi fornite dagli alleati occidentali per colpire il territorio russo da dove partono e passano truppe e rifornimenti per il fronte, durante i quasi 50 minuti di colloquio con i giornalisti Andrew Kramer, Philip Pan e Bill Brink, Zelensky ha di fatto riproposto alla Nato una parziale no-fly zone sull’Ucraina. I vicini europei dovrebbero, secondo il presidente, abbattere almeno i missili russi in volo sul suo Paese, senza però attraversare lo spazio aereo ucraino. Un po’ com’è stato fatto sui cieli del Medio Oriente nella notte tra il 13 e il 14 aprile scorso per difendere Israele dall’attacco dell’Iran. Ma non solo.

    Se Zelensky considera solo «parole» la possibilità che la Nato schieri le proprie truppe sul campo, le sue richieste sono molto concrete in fatto di nuovi armamenti: almeno 120-130 caccia F-16 «o aerei equivalenti» per permettere all’Ucraina di combattere anche nei cieli contro la Russia che, secondo il presidente, possederebbe una flotta di 300 velivoli militari. A questo però andrebbero aggiunte almeno 7 batterie di missili Patriot con cui difendere i punti nevralgici del suo Paese. Non è ancora tutto.

    In vista della conferenza prevista in Svizzera, gli alleati di Kiev dovrebbero appoggiarne il piano in tre punti. Il primo prevede di assicurare il passaggio sicuro sul Mar Nero dei cereali e degli altri prodotti agricoli e da allevamento esportati da Kiev e su cui poggia l’economia ucraina, che permettono di «garantire la sicurezza alimentare» in tutto il mondo, in particolare in Africa. Il secondo comporta la gestione internazionale dell’impianto atomico di Energodar, a Zaporizhzhia, obbligando i russi a ritirarsi dalla centrale. L’ultimo invece promuove lo scambio di tutti i prigionieri di guerra e il ritorno in Ucraina dei bambini deportati in Russia. Tutte richieste che non suonano nuove alle orecchie delle cancellerie europee. La differenza però sta nella disamina (piena di dubbi e sospetti) delle ragioni che finora hanno impedito a Kiev di ottenere tutto – ma proprio tutto – ciò che chiede.

    Domande scomode
    Dalla Casa delle Chimere, dove si trovano gli uffici presidenziali ucraini, Zelensky ha intervallato quasi tutte le sue risposte con altrettante domande retoriche, di cui una ricorre più spesso delle altre: «Qual è il problema?!». La contraddizione colta dal capo di Stato risiede nella promessa e nella progressiva fornitura a Kiev di armamenti sempre più potenti, sul cui utilizzo però Usa ed Europa pongono sempre una serie di paletti, che poi nel tempo finiscono per cadere. Allora tanto vale superare subito i tabù. «Qual è il problema nel coinvolgere i Paesi della Nato nella guerra?», ha chiesto in maniera inquietante il presidente ucraino. «Non esiste», si è risposto da solo. «Si tratta solo di difesa». Eppure le cose non stanno proprio così.

    Lo stesso leader ucraino, chiedendo il permesso di usare le armi fornite da Usa ed Europa per attaccare il territorio russo, ammette la necessità di non limitarsi a impedire i raid di Mosca. «Ho una domanda: se sappiamo che domani verranno (…) per ucciderci, perché non possiamo usare le armi per distruggerli dove ammassano truppe, equipaggiamenti, carri armati, veicoli blindati, ecc? E se non possiamo raggiungere quelle zone, che dire delle località sul territorio russo dove accumulano materiale bellico?», ha chiesto Zelensky, secondo cui il Cremlino avrebbe ammassato 10mila missili S-300 per colpire l’Ucraina. «Esistono al mondo armi adatte per contrastare tutto ciò? Sì. Esistono armi migliori di quelle che la Russia ha nel proprio arsenale? Sì. L’Ucraina ha sia abbastanza armi che sufficienti autorizzazioni a usarle? No». «Datecele», è l’appello esplicito – ma fatecele usare – è il messaggio sottinteso.

    Le pretese di Kiev non sembrano eccessive a Zelensky. «Vorremmo chiudere tutto il nostro spazio aereo e avere dalle 20 alle 30 batterie di missili Patriot. Scordiamocelo. Ma possiamo averne almeno sette?», ha rincarato il leader ucraino. «È chiedere troppo per un Paese che dal 2008 cerca di diventare membro della Nato e che oggi lotta per la libertà e la democrazia in tutto il mondo?». «Sette sistemi Patriot», ha scandito, come fosse una bazzecola. Ma non finisce qui. 

    Accogliendo con favore la possibilità che la Francia e altri Paesi inviino addestratori militari in Ucraina e in futuro addirittura schierino truppe sul campo, Zelensky ha voluto fare una premessa. «Possiamo prima abbattere – dal territorio di un Paese della Nato tra i nostri vicini – i missili che volano verso le nostre infrastrutture energetiche, senza attraversare lo spazio aereo dell’Ucraina?», si è chiesto il presidente, secondo cui gli aerei dell’Alleanza volano già ai confini del Paese per proteggere gli Stati membri. «Qual è il problema? Perché non possiamo abbatterli? È difesa? Sì. È un attacco alla Russia? No. Stai abbattendo aerei russi e uccidendo piloti russi? No. Allora qual è il problema nel coinvolgere i Paesi della Nato nella guerra? (…) Domani tutti questi missili voleranno su questi Stati, non c’è dubbio. È solo questione di tempo. Perché allora non abbattere quei missili? Dov’è il coinvolgimento (bellico, ndr) in tutto ciò?», ha aggiunto Zelensky, offrendo anche un’alternativa alla fornitura di centinaia di caccia a Kiev. «Mettiamoci d’accordo: se, per vari motivi, l’Ucraina non riceve la quantità di caccia di cui ha bisogno (120-130 F-16, ndr), perché un numero minore di aerei schierati nei Paesi della Nato non può chiudere il nostro spazio aereo?».

    La risposta ovvia a tutti questi quesiti, rivolti ai leader di Usa ed Europa e non certo ai giornalisti presenti a Kiev, è che corriamo il rischio di scatenare una guerra nucleare mondiale tra l’Alleanza e la Russia. Ma il presidente ucraino non la pensa così, anzi il suo ragionamento è molto più malizioso.

    Sospetti pericolosi
    Per Zelensky intanto «non ci sono rischi di escalation». L’escalation, ha rimarcato, è già avvenuta «quando la Russia ha invaso l’Ucraina». Nemmeno le armi nucleari dovrebbero fare paura perché, in fondo, Mosca ha avuto più di due anni per usarle e non l’ha fatto. «Quando (Putin, ndr) non riuscì a conquistarci (l’Ucraina, ndr) nel primo anno di guerra, non le usò (le bombe atomiche, ndr), perché potrà pure essere una persona irrazionale ma ama moltissimo la propria vita e sa che ricorrendo alle armi nucleari si chiuderebbe tutte le porte dietro di sé. L’uso delle atomiche non è una linea rossa, è un livello diverso dello scontro: è la Terza guerra mondiale», ha dichiarato il presidente ucraino, la cui spiegazione parte – ma solo apparentemente – dalla psicologia del presidente russo.

    «Una persona razionale non può scatenare una guerra su vasta scala contro un altro Stato», ha detto Zelensky riferendosi a Vladimir Putin. «O è irrazionale oppure sapeva che non avrebbe subito conseguenze, il che significherebbe averne prima discusso (dell’invasione, ndr) con altri Paesi», ha aggiunto, insinuando il sospetto tra gli alleati. «E non voglio nemmeno pensarci perché allora non saremmo di fronte a una partnership ma a un gioco fatto alle spalle l’uno dell’altro, il che sarebbe un tradimento totale». Dopo aver lanciato il sasso però, nasconde la mano: «Diciamo che non aveva alcun accordo e che si tratta semplicemente di una persona irrazionale che ha deciso che nessuno avrebbe difeso l’Ucraina e che avrebbe potuto invaderci e distruggerci».

    Eppure i sospetti di quella che per il presidente ucraino costituirebbe una sorta di collusione tra Mosca e qualcuno degli alleati occidentali permangono e si basano sugli interessi dei diversi Paesi. «I nostri partner temono, in linea di principio, una rottura completa delle relazioni con la Federazione Russa», ha spiegato Zelensky, secondo cui è per questo che gli Stati dell’Ue non obbligano tutte le loro aziende a lasciare la Russia, non mettono a completa disposizione dell’Ucraina i fondi congelati al Cremlino, non chiudono le ambasciate di Mosca, non espellono i suoi diplomatici, non richiamano in patria i propri, non concedono a Kiev tutte le armi che chiede e non ne autorizzano un uso indiscriminato. «Ci viene detto che questo provocherebbe un’escalation. No. Si tratterebbe invece di una rottura completa di ogni rapporto con la Federazione Russa». Ma nessuno, secondo Zelensky, vuole questo in Europa e, forse, nemmeno negli Usa vista la progressiva contrapposizione con la Cina e l’avvicinamento tra Mosca e Pechino.

    «Tutti tengono la porta leggermente socchiusa alla Russia», ha accusato il presidente ucraino. «Non così aperta come dopo il 2014 quando fu commesso un grave errore. Ma qualche leader ha lasciato la porta leggermente aperta. Non tutti, ma molti. Solo uno spiraglio». E qui si lancia nell’interpretazione del pensiero dei suoi colleghi alleati: «E se l’Ucraina perdesse?», si chiederebbero nei corridoi delle cancellerie della Nato. «Non dovremmo chiudere completamente le porte alla Russia», sarebbe la risposta. Anche se questo tipo di considerazioni potrebbero sembrare ovvie, il messaggio di Zelensky appare chiaro ed è rivolto agli Stati Uniti.

    Avviso alla Casa bianca
    Il maggior risultato strategico conseguito da Washington durante la guerra in Ucraina è stato l’allontanamento dell’Europa dalla Russia. Bastano due esempi su tutti: la fine della dipendenza dell’Ue dal gas di Mosca (con la chiusura violenta dei gasdotti Nord Stream 1 e 2) e l’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. Ma le speranze di riprendere i legami con il Cremlino, sembra dire Zelensky alla Casa bianca, sono ancora vive e potrebbero rimettere in discussione l’ancor più salda presa degli Usa sul Vecchio Continente guadagnata dalla Casa bianca negli ultimi due anni. Basterebbe la vittoria di Mosca nel conflitto, che agli occhi del presidente ucraino non pare affatto improbabile, anzi.

    Alla domanda su cosa intende fare dopo la guerra, seppure solo per un attimo, Zelensky è sembrato contemplare la prospettiva di una vittoria russa: «Dopo la guerra o dopo la vittoria: sono cose diverse», ha detto il presidente ucraino. «Mi piacerebbe credere che si arriverà a una vittoria per l’Ucraina. Non è facile, sarà molto difficile». Soprattutto se Kiev, sottinteso, non avrà tutto quello che chiede.

    «Abbiamo una mappa – e ce l’hanno anche i nostri partner – dove sono segnati i punti in cui dovrebbero essere posizionati i sistemi Patriot e altri simili: batterie (di missili, ndr) a corto, medio e lungo raggio. (…) Parliamo di un sistema di difesa aerea completo, che include tutto: sistemi NASAMS, IRIS-T, Patriots, THAAD», ha svelato Zelensky. «Ecco perché insisto su questo punto ogni giorno, perché so che potremmo perdere il nostro settore energetico e la nostra economia, compresi i cereali, la metallurgia e molto altro. Potremmo perdere tutto». Ma non sarebbe una sconfitta solo per Kiev.

    Per il presidente ucraino infatti, una vittoria di Putin – che secondo Zelensky vuol dire qualsiasi forma di accordo con il Cremlino – alimenterebbe le divisioni all’interno dell’Europa e della Nato e tra l’Ue e gli Usa, il che non può certo far piacere alla Casa bianca. «La gente comincia a dimenticare. (…) La società inizia a dividersi. Alcuni sono in guerra e altri no. (…) E in un momento del genere, il nemico può sfruttare questa situazione in vari modi», ha sottolineato. «Credo che questa sia la sfida morale più difficile del momento: prevenire la divisione nella società, nella politica, nel mondo, nell’Unione europea, negli Stati Uniti, indipendentemente dalle elezioni, evitare una spaccatura tra gli Usa e l’Europa». Insomma, sembra avvisare Zelensky, se la Casa bianca abbandona Kiev e apre a Mosca, i Paesi europei – magari con Germania e Italia in prima fila – riprenderanno subito i rapporti con il Cremlino tanto invisi agli Stati Uniti.

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