Dal 1947 a oggi non siamo mai stati così vicini alla “mezzanotte” del Doomsday Clock, l’orario metaforico con cui il Bullettin of Atomic Scientists segnala il rischio di una catastrofe nucleare. È vero, non stiamo parlando di una scienza esatta, e da un po’ di tempo a questa parte tale orologio cerca di quantificare anche altri rischi di danni irreversibili per il pianeta, come quelli dovuti ai cambiamenti climatici. Ma è altrettanto vero che si tratta di un ulteriore segnale che mostra come la guerra in Ucraina si stia apprestando a entrare in una nuova fase che rischia di essere particolarmente pericolosa per gli equilibri globali.
Dopo undici mesi, il conflitto non ha raggiunto un esito decisivo. La Russia non è riuscita a piegare l’Ucraina, ma ha ancora un potenziale bellico che le permette di portare avanti la guerra, dall’altro lato l’Ucraina è riuscita a evitare di soccombere alla Russia, ma non è riuscita a fermare definitivamente il suo sforzo militare. E in questa situazione, entrambe le parti ritengono di poter raggiungere sul campo di battaglia una situazione migliore di quella attuale, fatto che chiaramente contribuisce a mettere da parte la possibilità di un dialogo che porti alla sospensione delle ostilità.
Il massacro continua
L’Ucraina, dal canto suo, sa di poter contare su un forte sostegno da parte della Nato e dei suoi alleati, che stanno continuando a rifornirla di armi sempre più sofisticate, ma la Russia è consapevole che, forte di una popolazione decisamente superiore a quella ucraina, può mobilitare al fronte molte più persone che le permetterebbero uno sforzo bellico prolungato nel tempo. Una situazione che si rischia di trasformare in un ulteriore inasprimento dello scontro.
L’Occidente, al fine di sostenere l’Ucraina nel respingere l’offensiva russa, ha inviato nel corso del conflitto armi sempre più potenti: dagli anticarro Javelin ai lanciarazzi Himars, i prossimi armamenti in dirittura d’arrivo verso Kiev sono i moderni carri armati Abrams e Leopard. La Nato e gli alleati sono infatti consapevoli che allentare il sostegno verso l’Ucraina rischierebbe di vanificare i risultati ottenuti da Kiev, anche per via di un tema che negli ultimi giorni si sta facendo strada, legato ai rischi dovuti alla differenza numerica tra le due parti in conflitto in una guerra che giorno dopo giorno sembra destinata a non concludersi in tempi brevi.
Mentre i russi annunciavano la presa della città mineraria di Soledar, molti media davano la notizia secondo cui Washington avrebbe consigliato a Kiev di mettere in secondo piano il fronte di Bakhmut e concentrarsi altrove, per via del numero eccessivo di perdite a fronte di un valore strategico ritenuto secondario. Le perdite, infatti, su una popolazione di circa 40 milioni, funestata da morti in guerra e ondate di profughi, rischia di pesare molto in un conflitto contro un Paese di 140 milioni di abitanti.
In questa direzione va anche la notizia diffusa da Bloomberg che, citando una fonte interna al Cremlino, ha detto che la Russia starebbe preparando una grande offensiva per riprendere l’iniziativa, dopo che dall’estate scorsa si è trovata sconfitta su diversi fronti, ma ha aggiunto che Mosca non ha problemi a preparare una guerra lunga per via della maggiore capacità ad accettare le perdite dovuta anche alla superiorità in termini di popolazione, nonostante ci siano stati momenti difficili negli scorsi undici mesi.
Tutti elementi che fanno pensare all’arrivo di una fase del conflitto sempre più violenta, in cui sempre più uomini e armi si apprestano ad arrivare in Ucraina. Qualunque sia la posizione che si ha verso il conflitto, bisogna avere chiaro che il suo prolungamento e l’arrivo di un numero sempre più alto di armi e il coinvolgimento di sempre più soggetti rende ogni rischio più elevato, come abbiamo visto nell’occasione del missile (poi rivelatosi ucraino) caduto a Przewodow, in suolo polacco, lo scorso 15 novembre. E con un coinvolgimento dei Paesi Nato sempre più profondo che l’alleanza tiene a sottolineare trattarsi un modo per difendere Kiev e non per minacciare la Russia, ma che Mosca vede come un coinvolgimento sempre più diretto dell’Occidente.
Primavera di sangue
Nel breve termine ci si aspetta dunque che la Russia lanci una nuova offensiva, come anche il ministro della Difesa Guido Crosetto ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera, e come confermato dalle indiscrezioni di Bloomberg, usando quella parte dei militari mobilitati lo scorso settembre ma non ancora inviati al fronte, cui se ne potrebbero aggiungere altri, come suggerito nel bollettino della Difesa del Regno Unito pubblicato il 30 gennaio. La stessa Russia che recentemente ha scelto il proprio capo di Stato maggiore, Valeri Gerasimov, come comandante delle operazioni in Ucraina, dando dunque un segnale di forte coinvolgimento degli apparati militari nel conflitto.
Gli spazi per soluzioni diplomatiche, accarezzati in alcune occasioni ma decisamente lontani nella fase che si prospetta, non sembrano facilmente percorribili. Da un lato l’Occidente non può permettersi di riconoscere modifiche territoriali tramite una guerra d’aggressione, con tutti i rischi che ne conseguirebbero per la pace globale dopo un precedente a riguardo. Dall’altro la Russia, nel lanciare quella che definisce “operazione militare speciale”, non ha esplicitato chiaramente i propri obiettivi (“demilitarizzare” e “denazificare” sono concetti abbastanza fumosi). Per quanto se ne possano supporre alcuni, questo rende difficile comprendere a quale risultato Mosca potrebbe essere disposta a fermarsi, che sia al tavolo delle trattative o sul campo di battaglia, soprattutto dopo undici mesi di guerra.
Mentre la Russia studia il modo per riprendere l’iniziativa, dunque, l’Occidente invia armi sempre più potenti per fare in modo che l’Ucraina sia in grado di rispondere, ma lo spettro all’orizzonte è quello di una guerra lunga in cui tutti pensano di aver ancora qualcosa da guadagnare. Non possiamo sapere come finirà, né a quale costo, ma la fase che si prospetta non sembra destinata a lasciare spazio a trattative di alcun genere, ma a quel tentativo da parte di entrambi di raggiungere una situazione più favorevole rispetto a quella attuale, con armi più potenti e sofisticate e altri uomini al fronte. È quella che in tanti stanno chiamando escalation.
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