La guerra tra l’esercito ucraino e le milizie del Donbas prosegue da più di un anno. Si continua a sparare nelle trincee e nelle città vicine alla linea del fronte nonostante il cessate il fuoco.
Il conflitto si sta avviando verso una seconda fase, a bassa intensità ma permanente. I costi umani ed economici, per l’Ucraina e per la Russia, sono già altissimi.
Un rapporto di Amnesty international del 22 maggio ha denunciato l’uso sistematico della tortura e di esecuzioni sommarie dei prigionieri da parte dell’esercito governativo e dei ribelli filorussi nei confronti dei rispettivi prigionieri.
Anche per questo motivo nessuno sembra disposto a tirare le somme. La permanenza dello stato di guerra permette a entrambi gli schieramenti di ritardare l’assunzione di responsabilità sui danni causati alla popolazione.
Il futuro della regione
“Le regioni di Donetsk e Lugansk devono rimanere parte dell’Ucraina”. Così si è espresso il ministro degli Esteri della Federazione Russa Sergey Lavrov lo scorso 19 maggio.
Questa dichiarazione è tutt’altro che una resa da parte di Mosca. La guerra in Donbas non è per la Russia una guerra territoriale. La Russia protegge la zona d’influenza che la lingua, l’ortodossia cristiana e la storia gli hanno consegnato.
Lo fa sostenendo coloro che si oppongono al rovesciamento di potere voluto, secondo il Cremlino, dalle potenze occidentali bramose di espandere il loro potere in Ucraina.
Se le intenzioni di Mosca fossero state unicamente territoriali, sarebbe stato infinitamente meglio fermarsi dopo avere ottenuto la Crimea senza sforzi né vittime.
La cessione del Donbas ai russi, peraltro, è un costo che molti ucraini sarebbero disposti a pagare se questo significasse la fine del conflitto e la nascita di un’Ucraina, nuova, certamente mutilata ma lanciata verso l’Europa e il patto atlantico.
Uno scenario che Mosca vuole scongiurare optando per mantenere l’Ucraina unita sul piano geografico ma non politico.
Il ruolo della Russia
La cattura di due soldati dell’esercito della Federazione Russa da parte delle forze armate ucraine ha riportato l’attenzione internazionale sul ruolo della Russia. La presenza di truppe regolari russe non è mai stata ufficialmente provata.
A Kiev tutti sostengono che la presenza di soldati russi sia provata dalla professionalità delle truppe nemiche, ma Vladimir Putin si è preso gioco di questa affermazione dovuta, secondo lui, dalla frustrazione degli ucraini messi in scacco da un esercito composto da “minatori e trattoristi“.
I due militari feriti catturati il 18 maggio e interrogati in ospedale dai funzionari dell’Osce rappresentano la prima testimonianza ufficiale di soldati russi regolari.
I due hanno confessato di essere in ricognizione per conto del loro battaglione e di aver ricevuto ordini precisi. Mosca smentisce, sostenendo che si tratti di riservisti non operativi e che il contenuto delle loro confessioni non è credibile giacché estorto con la violenza e le minacce.
La dimostrazione della presenza di truppe regolari russe potrebbe costare al Cremlino altre sanzioni e un ulteriore isolamento internazionale.
Mariupol e il Mare D’Azov
La città di Mariupol, che si affaccia sul Mare d’Azov, è da mesi l’obiettivo dichiarato delle milizie del Donbas. Dal villaggio di Shirokino, a pochi chilometri dalla città, i filorussi utilizzano artiglieria di grosso calibro contro le posizioni dell’esercito ucraino.
Assicurandosi la città costiera di Mariupol, i filorussi si aprirebbero un corridoio di terra sino alla Crimea rendendo così il Mare d’Azov una sorta di lago interno alla Russia.
La dimensione della città portuale e le buone difese dell’esercito ucraino fanno però pensare che un attacco diretto alla città non sia al momento possibile con le sole forze delle milizie del Donbas, chiamando ancora una volta in causa il ruolo della Russia.
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