Guerra Turchia-curdi: diario dalla Siria – 31 ottobre
Il regime è scappato. Ha lasciato le postazioni e si è ritirato, sopraffatto dall’artiglieria turca che non ha lasciato scampo.
“Non avevamo nulla con cui difenderci, i nostri comandanti ci avevano detto che saremmo andati al confine, e non avremmo dovuto combattere. Non è stato così”, dice un soldato nelle retrovie. A sei chilometri da Till Tamer, intorno alle 15, almeno quattro camion con a bordo una cinquantina di miliari ognuno, si fermano.
“La Russia non ha mandato i rinforzi. Ci hanno abbandonato, mentre le milizie turche hanno armi di lunga gittata, e supporto aereo”, spiega un altro militare mentre scende dal camion verde che di solito viene usato per il bestiame. “Abbiamo lasciato i nostri compagni indietro, non me lo perdonerò mai”.
Intanto all’ospedale di Til Tamer arrivano i soldati feriti. Uno ad uno. Sono disperati, piangono. Continuano a dire la stessa cosa. “Non avevamo le munizioni adatte. Ci hanno travolti”. A fine giornata sono almeno sette i villaggi che sono caduti in mano alla Turchia.
Il lungo fronte che va da Serekanye (Rai Al Ain) a Tell Tamer è stato spartito tra le forze del regime e le FDS, Forze Democratiche Siriane.
Le milizie turche per cercare di controllare Til Tamer e cercare quindi di spezzare in due il nord est della Siria. Infatti Tell Tamer è un crocevia da cui si passa anche per andare ad Ain Issa, Kobane, Raqqa, e quindi Manbij. Così mentre le FDS hanno tenuto il fronte, le SAA (Syrian Arab Army), non ce l’hanno fatta. E migliaia di civili si sono dati alla fuga, terrorizzati dall’arrivo delle milizie turche che quando prendono un territorio saccheggiano, rubano, uccidono, rapiscono i civili.
Dall’inizio del conflitto quasi mille persone sono state uccise (921), di queste 509 sono civili, e oltre 4mila sono rimaste ferite. Secondo i dati, il 90 per cento dei ferimenti è dovuto a colpi di mortaio e attacchi aerei. Mentre solo il 2 per cento da colpi di proiettili o combattimenti. Una strage che si allunga ogni giorno. Nonostante le tregue annunciate, la Turchia continua a spingere e non si arresta, nonostante le FDS abbiano rispettato i patti e si siano ritirate dal confine.
La guerra non si è mai fermata dal 17 di ottobre, quando è stato annunciato il primo cessate il fuoco grazie a un accordo tra Stati Uniti e Turchia, seguito poi dal patto di Sochi con la Russia. In entrambi i casi, le FDS si sarebbero dovute ritirare dalle zone di Serekanye e Gire Spi, 110 chilometri in lunghezza e trenta di profondità.
Dopo Sochi, le FDS hanno trattato sui 13 punti, alcuni dei quali sembrano ancora in discussione. Il confine sarebbe passato in mano all’esercito siriano e alla polizia militare russa. I curdi hanno fatto la loro parte, Ankara non ha rispettato gli accordi.
Sul terreno non aiuta di certo il balletto delle potenze. E in particolare quello degli americani. Proprio oggi, due lunghi convogli sono passati in mattinata per Tell Tamer. Direzione le campagne di Kobane. Sembra che gli americani siano tornati nelle loro vecchie basi, e siano tornati anche in forze.
Ma nessuno capisce bene a fare che cosa, o proteggere chi. Certo, la questione dell’olio, sembra pura facciata, visto che quelle non sono le zone di giacimenti. Intanto sembra chiaro che tra un paio di giorni le milizie turche arriveranno alle porte di Tell Tamer.
Oggi, alle 13.15, intorno alla città sono stati dati alle fiamme copertoni e benzina per coprire il cielo e impedire ai droni di sorvolare. C’era il timore di un attacco aereo. Decine di veicoli sono scappati verso Hasakah, città rifugio per quasi 300mila persone in fuga dalla guerra.
Martedì la Turchia ha colpito le falde acquifere di Alouk, tagliando l’acqua potabile per quasi 750mila persone, appunto nell’area di Hasakah. L’amministrazione autonoma ha lanciato l’allarme per l’emergenza umanitaria. Ma intanto gli occhi sono tutti puntati sul Tell Tamer.
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