Guerra Turchia-curdi: diario dalla Siria – 29 ottobre
Non ci vogliono credere. Negano che il loro leader sia stato ucciso. Il giorno dopo il raid in cui Abu Bakr Al Baghdadi è morto le donne dell’Isis sono in uno stato di negazione totale. “Siete delle bugiarde”. Oppure: “Non sono fatti vostri”. E ancora: “La vostra è solo propaganda”.
Nel campo di Al-Hol, a una quarantina di chilometri da Hasakah c’è una calma quasi irreale. “Sono in lutto”, spiegano fonti dell’intelligence nel campo. In un altopiano nel deserto della Siria questo campo è diventato famoso in tutto il mondo. Al suo interno sono rinchiuse oltre 70mila persone, per lo più affiliate allo Stato Islamico. Il campo si è riempito alla fine di marzo quando l’ISIS ha perso tutto il terreno in Siria.
Migliaia di donne, che hanno combattuto fino all’ultimo, e soprattutto straniere, sono state quindi portate qui. La loro sezione, “annex”, è uno dei punti più pericoloso del nordest della Siria. Al momento ci sono almeno 10.700 tra donne e bambini. Tutte straniere. Provengono almeno da 48 paesi diversi intorno al mondo. Russia, Francia, Tunisia, Germania.
Nell’ultimo mese sono state uccise almeno sei donne. I loro corpi sono stati ritrovati fatti a pezzi nelle fogne. Ma si crede siano molte di più, ma i corpi non si trovano. Infatti molte le persone che spariscono nel nulla. La loro colpa? Nella maggior parte dei casi, non aver rispettato la Shaaria, la legge islamica. E la corte islamica istituita illegalmente all’interno del campo le ha condannate a morte. Le donne hanno ricreato esattamente le stesse dinamiche che vivevano durante il Califfato.
“Sono davvero pericolose”, dicono le forze di sicurezza. Oggi, a causa dell’aggressione turca, le guardie sono state dimezzate, mandate al confine. E la situazione si sta deteriorando. “Poche settimane fa hanno ucciso un uomo perché aveva una relazione extraconiugale”. Un’altra donna è stata uccisa con pugni e calci, le foto sono terribili. E non c’è modo di farle smettere. Riconoscerle è quasi impossibile.
Tutte indossano il niqab, l’indumento nero che copre tutto il corpo, occhi compresi, e d’obbligo nell’interpretazione dell’Islam più radicale. Chi prova a toglierselo viene punito severamente. A volte, appunto, con la morte. Di fatto hanno imposto un loro mini-califfato. Tra corti e polizia morale. Ma oggi sembrano molto più affaticate, stanche, e forse demoralizzate. Ho visitato tante volte questo campo. Ma questa volta non lo vogliono far vedere. Appena le chiediamo della morte del califfo, la maggior parte non ci vuole credere, e comincia ad insultare.
“Guarda come sei vestita, quando torneremo al potere, ti uccideremo”, risponde una donna in arabo. La maggior parte nega di parlare in inglese. Lo chiamano “padre”, negano qualsiasi crimine “è la nostra legge”, e ripetono “tanto risorgeremo”. E un altro califfo è già pronto a prendere il suo posto.