Siria, le donne di Raqqa sfilano contro la violenza
L’appuntamento è alle 11, lungo il fiume Eufrate.
Il viale è stato bloccato al traffico. La polizia e i militari osservano chi arriva, con la paura che ci possa essere un attacco. E loro, le donne di Raqqa sono puntuali.
Arrivano in gruppi, alcune sui bus, altre a piedi. Hanno striscioni e cartelli. Bandiere e fotografie dei martiri caduti nella guerra contro ISIS e la più recente con la Turchia.
Ci sono le foto di Hevrin Khalaf, il segretario generale del Partito del Futuro della Siria con sede proprio a Raqqa, uccisa in un’imboscata dalle milizie turche il 12 ottobre scorso.
La manifestazione è dedicata a lei, ad Amara, il cui corpo è stato martoriato dai miliziani sostenuti dalla Turchia, e Çiçek, un’altra combattente che è stata fatta prigioniera e trasferita illegalmente in Turchia e di cui non si hanno più notizie.
“L’occupazione è violenza. Sconfiggi l’occupazione e il fascismo con lo spirito di Hevrin”, dice lo striscione d’apertura del corteo in inglese e in arabo.
La maggior parte delle manifestanti indossa un hijab, il velo che copre solo i capelli, alcune hanno ancora il Niqab, che lascia scoperti solo gli occhi.
Sfilano fiere di una libertà ritrovata, e per molte di loro mai veramente avuta prima. Sono almeno 500, e dietro un centinaio di uomini a chiudere il corteo.
Raqqa è stata la capitale dello Stato Islamico per più di tre anni. Le FDS – Forze Democratiche Siriane – con le forze della Coalizione internazionale, l’hanno liberata il 17 ottobre 2017.
L’occasione per il corteo è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Mobilitazioni sono avvenute in tutte le città: Aleppo, Tabqa, Hasakah, Shaddadi, Qamishli.
Questa è anche un’opportunità per far sentire la propria voce. In questo momento in cui tutto il nord est della Siria è sotto attacco dalla Turchia.
“Non ci sono differenze tra curdi e arabi, noi siamo un unico popolo”, dicono le donne a voler ribadire che le tensioni tra le popolazione sono oramai alle spalle.
Una maniera anche per smentire uno dei punti più utilizzati da Ankara per giustificare l’invasione cominciata il 9 ottobre scorso. È una manifestazione colorata, con musica e slogan.
Tanti gli spezzoni. Ci sono le madri dei martiri che hanno in mano le fotografie delle figlie e dei figli. Ci sono uomini con i cartelli contro la violenza.
Ci sono bambini che corrono verso il corteo per vedere quello che sta succedendo, mentre sullo sfondo si notano le rovine, memorie di un conflitto che sembra non finire mai.
Tra gli slogan più cantati: “Fermate la guerra” e “Serekanye, Gire Spi, Afrin ci appartengono”.
Queste sono le tre aree occupate dalla Turchia e in cui sta avvenendo una pulizia etnica.
Fuori la popolazione locale, dentro le famiglie dei miliziani e rifugiati siriani da altre zone del Paese. I curdi non possono tornare nelle loro case. Proprio in questi giorni a Gire Spi (Tal Abyad) sono arrivate delle famiglie e hanno preso possesso delle case di chi è scappato.
La guerra non si ferma e continua. Negli ultimi giorni ci sono stati scontri ad Ain Issa, Til Tamer, Afrin.
Le FDS hanno accusato la Russia di lasciare campo agli attacchi della Turchia e non implementare il cessate il fuoco.
Mosca, nonostante una base sia stata colpita, non risponde al fuoco e lascia campo libero alle forze sostenute da Ankara.
Nel frattempo la situazione generale è traballante. Le cellule dormienti di ISIS continuano gli attacchi nella città del Nord Est della Siria.
E in particolare Raqqa che ha visto un aumento di quasi il 300 per cento di attentati da quando è cominciata l’invasione.
Ed è per questo che fare una manifestazione per le donne, è un atto di coraggio. Ma è soprattutto una sfida a chi vorrebbe cancellare l’esperienza dell’amministrazione autonoma del Nord Est della Siria. “Non torneremo mai indietro”, dicono le donne di Raqqa.
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