Era il 15 marzo del 2011 quando scoppiò la guerra in Siria: oltre 13 anni, 507 mila morti, più di 7 milioni di sfollati e oltre 5 milioni di rifugiati dopo, la pace è ancora lontana. Ma l’Agenzia Onu per i Rifugiati (Unhcr), presente nel Paese già da prima dello scoppio del conflitto e che continua a fronteggiare l’emergenza, ha bisogno di aiuto per soddisfare i crescenti bisogni umanitari della popolazione.
È nata così la campagna #Siria13anni, come ci spiega Laura Iucci, direttrice della raccolta fondi di Unhcr Italia: “Con il contributo – anche piccolo – di tutti, dei governi, della società civile, dei privati cittadini, delle associazioni e delle imprese possiamo garantire la sopravvivenza del popolo siriano”.
“È una delle più gravi crisi umanitarie al mondo perché ha già costretto oltre 12 milioni di persone a lasciare le proprie case: 7,2 milioni di siriani sono sfollati all’interno del Paese e circa 5 milioni sono rifugiati nei vicini Libano, Turchia, Giordania, Iraq ed Egitto”, ricorda Iucci. “Non dimentichiamoci poi che l’anno scorso ci sono stati anche due terribili terremoti che si sono abbattuti su una popolazione già stremata da anni di sofferenze”.
Una situazione disastrosa: secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, quest’anno 16,7 milioni di siriani, il 75 per cento della popolazione complessiva, avranno bisogno di assistenza umanitaria, il numero più alto mai raggiunto dal 2011. Un aggravamento della crisi dovuto non solo al conflitto tuttora in corso, ma anche all’inadeguatezza dei servizi e delle infrastrutture e al collasso economico del Paese.
Come ci spiega Iucci, l’Agenzia Onu per i Rifugiati era presente in Siria già da prima dello scoppio della crisi. “Allora ci occupavamo del rimpatrio dei rifugiati iracheni”, ricorda. “Quando è scoppiata la crisi, abbiamo deciso di restare al fianco della popolazione e di intensificare le nostre operazioni”. Ma da allora la situazione non ha fatto che peggiorare. “Si tratta di una delle crisi più gravi al mondo in cui i bisogni umanitari non possono che crescere”, aggiunge. “Ma oggi stanno raggiungendo livelli senza precedenti”.
“La popolazione non ha un accesso adeguato alle reti di sicurezza sociali, ma anche ai servizi essenziali come la sanità o l’istruzione o semplicemente ai beni di prima necessità”, ci spiega Iucci. “Sempre più famiglie rischiano di sprofondare al di sotto della soglia di povertà e i più colpiti sono ovviamente le donne, gli anziani, i disabili e i bambini”.
Proprio i minori rischiano di finire nelle maglie dello sfruttamento. “Riscontriamo un aumento del lavoro minorile”, denuncia Iucci. “Per far fronte ai bisogni economici primari, le famiglie rischiano di esporre i propri figli a questo genere di fenomeni”.
D’altra parte i bambini rappresentano più del 47 per cento dei 5 milioni di rifugiati siriani ospitati dai Paesi confinanti, che versano in condizioni economiche molto difficili. “Il 90 per cento della popolazione siriana rifugiata in Giordania, Libano ed Egitto è indebitata: è l’unico modo per coprire le spese per le necessità di base”, sottolinea Iucci. “Parliamo di milioni di persone che vivono lontane da casa e al di sotto della soglia di povertà: tutto questo comporta ovviamente un aumento anche dei rischi di violenza di genere e di abusi, anche sui minori”.
Non solo, il deterioramento della situazione regionale sta peggiorando le cose. “La crisi in corso a Gaza e l’intensificarsi degli scontri transfrontalieri tra Libano e Israele hanno causato ulteriori sfollamenti forzati”, aggiunge la direttrice della raccolta fondi di Unhcr Italia. “Il contesto politico e della sicurezza è sempre più compromesso e complesso”.
“In questo momento noi assistiamo all’effetto domino di più crisi che si sovrappongono”, prosegue. “Dobbiamo fronteggiare gli effetti della crisi di Gaza, senza dimenticare le conseguenze della guerra in Ucraina, che ha provocato un rincaro dei prezzi dei beni di prima necessità, in modo particolare del cibo. Tutto questo su popolazioni vulnerabili colpite da un conflitto che si protrae da oltre un decennio”.
La violenza nel Paese arabo infatti non si è mai fermata. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, che ha sede nel Regno Unito, negli ultimi 13 anni sono state più di 507 mila le vittime. Tra i morti si contano oltre 164 mila civili, comprese 15mila donne e 25 mila minori. Oltre 343 mila combattenti di tutte le fazioni sono rimasti uccisi nel conflitto, tra cui militari dell’esercito del regime di Damasco, miliziani di gruppi armati filo-iraniani, terroristi di organizzazioni jihadiste affiliate ad al-Qaeda o al sedicente Stato Islamico (Isis) e soldati delle forze curde. Così, in 13 anni di conflitto un’intera generazione è nata e cresciuta tra le macerie, i bombardamenti e i campi profughi che dentro e fuori la Siria ospitano milioni di sfollati e rifugiati.
“All’aumento dei bisogni però, non corrisponde un incremento degli aiuti purtroppo”, denuncia Iucci. L’Unhcr calcola che per garantire le operazioni umanitarie per la situazione siriana nel 2024 serviranno 1 miliardo e 490 milioni di dollari. “Al 31 gennaio 2024, le nostre operazioni erano finanziate per il 6 per cento: nello stesso periodo dell’anno precedente invece, la percentuale era del 31%”, prosegue. “È una situazione molto preoccupante perché ci ritroviamo a dover scegliere chi aiutare e quali misure salvavita garantire alla popolazione civile: una scelta che nessuna organizzazione umanitaria vorrebbe mai trovarsi a dover fare”.
Per questo l’Agenzia Onu per i Rifugiati ha lanciato la campagna #Siria13anni. “Questa triste ricorrenza che vede la Siria entrare nel 14esimo anno di crisi è un’occasione per riaccendere i riflettori su quanto sta accadendo e fare appello alla generosità del popolo italiano, per non dimenticare i bisogni dei siriani”, rimarca Iucci. “I fondi che raccogliamo servono a garantire la distribuzione di beni di prima necessità, fornire assistenza medica, cibo, ma anche alloggi di emergenza, coperte e accesso all’istruzione primaria per i bambini. Il nostro è un intervento a 360 gradi e ogni piccolo contributo ci può aiutare a rimanere in Siria e ad assistere una popolazione che ha bisogno di protezione e assistenza sia all’interno del Paese che negli Stati vicini che li ospitano”.
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