Guerra in Siria, Ain Issa assediata: i turchi lasciano fuggire i miliziani Isis
La maggior parte delle auto vanno in senso opposto. Nessuno va ad Ain Issa, i pochi rimasti lasciano la città e viaggiano in senso contrario. Le strade, a parte quella principale, sono deserte. I portoni sono chiusi. In un parco giochi una mezza dozzina di bambini va sull’altalena. La scena è desolante. Nell’ultima settimana la città si è svuotata. Soprattutto dopo l’ultimo attacco di pochi giorni fa.
I civili riempiono i furgoncini bianchi di materassi e tappeti, legati da cinghie marroni. Stufe e coperte per ripararsi dal freddo, l’inverno è arrivato anche qui. “I nemici sono troppo vicini, non possiamo continuare a vivere qui”, dice una coppia di anziani che non vuole dare nomi, davanti alla loro casa. Erano tornati tre anni fa, dopo che la città era stata liberata dall’ISIS.
Durante il Califfato il loro appartamento, in una delle strade principali di Ain Issa, era una prigione. Ci hanno messo dei mesi per rimetterla a posto. E ora devono scappare di nuovo. “Tutta la nostra famiglia è già andata in un villaggio vicino a Kobane, ora li raggiungiamo. Non possiamo vivere di fianco ai turchi”.
Ain Issa fino a due mesi fa era la “capitale” del nord-est della Siria. Tutti gli uffici dell’amministrazione autonoma avevano base proprio qui, essendo equidistante da Raqqa e Kobane. E oggi non è rimasto quasi più nulla. La linea del fronte si sposta continuamente da un chilometro a tre. Il 25 novembre le milizie turche erano entrate nel campo che è alle porte della città. In quasi due mesi di guerra, Ain Issa è stata bersagliata da artiglieria pesante e droni. Uno caduto vicino alla base russa. Ma Mosca non ha risposto al fuoco, negando poi il giorno seguente di essere stati bersagliati.
Poche settimane fa in un attacco coordinato, i “cetta”, così vengono chiamati i soldati al soldo di Ankara, sono riusciti a far scappare un centinaio di miliziani dell’ISIS detenuti in carcere. “Prima hanno attaccato con dei razzi, poi hanno circondato il carcere. I detenuti hanno scatenato la rivolta e hanno dato fuoco ai materassi nelle celle”, spiega a TPI Ali, un ufficiale delle FDS -Forze Democratiche Siriane. Le FDS sono riusciti a respingere l’attacco ma i prigionieri sono scappati.
Nel carcere sono ben visibili i segni della rivolta. Al pian terreno tutte le celle sono annerite dal fumo. La vernice alle pareti ha creato delle bolle nere dal calore. Per terra è rimasto uno scacchiere con i suoi pezzi. In un’altra stanza la televisione attaccata al muro si è sciolta. In un angolo un corano, rimasto intonso.
Una scena molto simile è avvenuta nel campo profughi di Ain Issa. Prima del 9 ottobre ospitava circa 12mila persone. Tra cui donne straniere che si erano unite all’ISIS. Loro erano circa 300, in una sezione a parte, e sono scappate al primo attacco. Testimoni raccontano di aver visto i miliziani aprire le porte della sezione e invitarle a uscire. E le donne aspettavano con ansia questo momento, sapevano che prima o poi la Turchia avrebbe attaccato il nord-est della Siria.
“Vedrai che presto arriveranno e noi saremo libere”, mi aveva detto a giugno Umm Sofia, una donna americana che pretendeva di essere somala per non essere rimpatriata negli Stati Uniti. Ero scettica, ma alla fine ha avuto ragione lei. Quello che rimane del campo, sono tende vuote e mezze bruciate. Per terra ci sono vestiti, resti di cibo, pentole. “State attente dove mettete i piedi. Non sappiamo se sono state messe delle mine”, spiega Ali mentre visitiamo quello che rimane di questo campo. Il soldato, originario di Kobane, controlla continuamente la radio. “Se arrivano i droni dobbiamo andare velocemente, se ci vedono colpiscono”, aggiunge.
Già, il pericolo maggiore viene proprio dall’aria, ma martedì 26 novembre il cielo è nuvoloso. Siamo fortunati. Ain Issa continua a essere uno dei fronti più caldi. È al di fuori della cosiddetta “safe zone” negoziata dagli Stati Uniti con la Turchia il 17 ottobre scorso. Ma, come Tel Tamer, è un punto strategico. Se i turchi riescono a prendere Ain Issa, e la zona circostante, Kobane sarà completamente isolata e quindi esposta ad un attacco che tutti qui credono arriverà a breve. Intanto però le FDS non mollano e respingono ogni attacco.
“L’altro giorno (il 25 novembre ndr) erano davvero vicini ma nonostante l’attacco aereo non ce l’hanno fatta a entrare in città”, racconta Cicek, una combattente YPJ di 26 anni. “Certo che continueranno ad attaccare, ma noi resisteremo”, dice sorridendo per poi aggiungere: “Lo devi scrivere che i Cetta sono come Daesh (ISIS ndr) hanno solo cambiato uniforme. Guarda cosa hanno fatto a Hevrin, ad Amara (un’altra combattente il cui corpo è stato seviziato). La mentalità è la stessa cambia solo l’uniforme”.
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