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    Guerra Israele-Hamas a Gaza: Betlemme cancella il Natale

    Credit: AP Photo

    Nessun albero, né luci o presepe. Prima l’attacco di Hamas poi la feroce reazione di Israele a Gaza. Quindi le brutalità dei coloni in Cisgiordania. Così la culla della cristianità annulla le celebrazioni. Per rispetto alle vittime

    Di Giulio Alibrandi
    Pubblicato il 17 Dic. 2023 alle 07:00

    Non ci saranno albero, luci o presepe. Per Betlemme quello di quest’anno sarà un Natale senza celebrazioni. La campagna israeliana su Gaza e le violenze dei coloni in Cisgiordania rendono impossibile qualsiasi festeggiamento, anche in quello che viene considerato il luogo di nascita di Gesù Cristo. È la conclusione a cui sono arrivate sia le autorità religiose sia quelle che amministrano la cittadina palestinese, meta ogni anno di milioni di pellegrini.

    Come gesto di solidarietà nei confronti della popolazione di Gaza, il comune di Betlemme ha disposto la rimozione di tutte le decorazioni che da decenni vengono allestite per il 25 dicembre. L’annuncio risale al 14 novembre scorso, a poco più di un mese dall’attacco senza precedenti di Hamas e dall’inizio della feroce risposta israeliana. Un’escalation che si è riverberata anche sulla Cisgiordania, già attraversata dalle peggiori violenze da 18 anni a questa parte.

    Nel mirino
    «Si avvicina il Natale ma Betlemme è triste e sotto attacco. Il nostro messaggio al mondo è quello di fermare il massacro e la guerra di sterminio a cui è sottoposta la nostra gente a Gaza», ha dichiarato il sindaco di Betlemme, Hanna Hanania. Il comune ha spiegato che sono state smantellate tutte le decorazioni «in onore dei martiri e in solidarietà con la nostra gente di Gaza».

    Prima ancora la decisione era stata presa dalla Giordania: il 2 novembre il Consiglio dei capi delle Chiese del Paese ha annunciato la cancellazione di tutti gli eventi e le attività legati alla celebrazione del Natale, «in segno di rispetto e vicinanza per le vittime innocenti provocate delle operazioni militari in corso nella Striscia di Gaza e nei Territori palestinesi».

    Dello stesso parere anche i Patriarchi e i Capi delle Chiese di Gerusalemme, che hanno invitato le congregazioni «a rimanere al fianco» di chi subisce la devastazione della guerra «rinunciando quest’anno a qualsiasi attività di festeggiamento non necessaria». «Questi non sono tempi normali», hanno dichiarato in una nota del 10 novembre. «Dall’inizio della guerra si respira un clima di tristezza e dolore. Migliaia di civili innocenti, tra cui donne e bambini, sono morti o hanno subito gravi ferite. Molti altri soffrono per la perdita della propria casa, dei propri cari o per il destino incerto delle persone a loro care. In tutta la regione, ancora di più hanno perso il lavoro e soffrono di gravi difficoltà economiche. Eppure, nonostante i nostri ripetuti appelli per un cessate il fuoco umanitario e una riduzione della violenza, la guerra continua».

    In questo modo il Natale sarà molto più simile a quello di «duemila anni fa», ha commentato Michele Burke Bowe, ambasciatrice del Sovrano Militare Ordine di Malta presso l’Autorità Palestinese. «Niente regali, niente festeggiamenti, niente fuochi d’artificio o celebrazioni: solo un bambino nato in una fredda notte d’inverno sotto una stella luminosa».

    Violenze senza fine
    Per la prima volta da decenni, quindi, non sarà allestito un albero di Natale in piazza della Mangiatoia, il luogo in cui secondo la tradizione è nato Gesù. Un’usanza che non era stata interrotta neanche nel periodo più difficile della pandemia, anche se relativamente recente.

    A darle inizio, secondo il professore dell’università di Betlemme Mazin Qumsiyeh, sono stati i britannici che durante il periodo del mandato della Palestina, durato dal 1920 al 1948, hanno iniziato a decorare un albero cresciuto vicino a una stazione di polizia situata nella piazza. «Gli inglesi ci hanno imposto queste tradizioni occidentali e capitaliste. Prima non esistevano decorazioni e il Natale era considerato una festa esclusivamente religiosa», ha sottolineato Qumsiyeh, fondatore e direttore del Museo palestinese di storia naturale, in un’intervista del 2021 al portale online Middle East Eye.

    Nel corso degli anni, l’albero è diventato di plastica e ha raggiunto i 12 metri, mentre la festività ha assunto un ruolo centrale nell’economia di Betlemme. Nel 2022, con il ritorno degli arrivi ai livelli prepandemici, erano stati registrati 120mila visitatori nella settimana di Natale e 3 milioni nell’intero anno.

    Dopo il 7 ottobre però i turisti hanno smesso di venire. A preoccupare non è solo l’operazione militare a Gaza, ma anche la nuova impennata di violenza in Cisgiordania. Già l’anno scorso le vittime palestinesi erano arrivate ai massimi dal 2005. Dopo gli attacchi lanciati da Hamas e altri gruppi palestinesi, gli attacchi dei coloni e delle forze israeliane sono aumentati ulteriormente.

    A inizio novembre l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ohca) ha dichiarato che «la violenza dei coloni israeliani è aumentata in modo significativo, passando da una media già elevata di 3 incidenti al giorno nel 2023 a 7 al giorno». Secondo le Nazioni Unite, le forze di sicurezza israeliane hanno «accompagnato o sostenuto attivamente» gli attacchi dei coloni in quasi la metà dei casi. Il bilancio dall’inizio dell’anno è di almeno 190 vittime palestinesi, tra cui 43 bambini, più alto del 30 per cento rispetto a quello già record del 2022.

    Sotto occupazione
    La violenza si accompagna all’espansione incessante degli insediamenti, sostenuti apertamente dai membri dell’attuale governo israeliano. Ormai sono 670.000 i coloni che si sono trasferiti nei territori su cui dovrebbe essere fondato un ipotetico stato palestinese. La loro presenza e quella degli insediamenti in cui vivono, considerati illegali dal diritto internazionale, è uno dei principali elementi di divisione tra Israele e le diplomazie occidentali. Lo stesso Joe Biden, in un articolo pubblicato sul Washington Post il 18 novembre, ha minacciato di sospendere i visti ai coloni responsabili di attacchi contro i civili. «Ho insistito con i leader israeliani sul fatto che la violenza estremista contro i palestinesi in Cisgiordania deve finire e che coloro che commettono tali violenze devono essere ritenuti responsabili», ha dichiarato il presidente statunitense, che ha invece difeso e sostenuto il governo israeliano per la campagna su Gaza.

    Il proliferare di posti di blocco, le incursioni notturne, l’abbattimento di statue e lapidi come quelle dedicate a Yasser Arafat e alla giornalista Shireen Abu Akleh rendono difficile per i palestinesi considerare gli attacchi come episodi isolati. Piuttosto vengono visti come uno sforzo coordinato per acquisire territorio e rendere l’ipotesi di uno stato palestinese impercorribile come, secondo la stampa israeliana, Benjamin Netanyahu ha promesso recentemente ai suoi colleghi di partito.

    Anche intorno a Betlemme gli insediamenti stanno continuando ad allargarsi. Sono ormai decine le comunità sorte nei pressi della cittadina, separata da Gerusalemme da una barriera lunga 700 chilometri.

    Secondo il Dipartimento di monitoraggio degli insediamenti presso l’Applied Research Institute – Jerusalem (Arij), il 92 per cento dei 210.000 palestinesi che al 2019 vivevano nell’area di Betlemme erano confinati al 13 per cento del territorio totale. «Non c’è spazio per espandersi o costruire», ha detto al sito Vox il responsabile del dipartimento Suhail Khalilieh. «Ci stanno soffocando in termini di dove e come viviamo».

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