Abd al-Rahim al-Zari’i è un giovane palestinese di Gaza, ha 30 anni e vive al Cairo dal 2011, dove lavora come freelance nel settore commerciale. A Gaza è uno dei fondatori di una scuola di danza Hip Hop e Breakdance, “Gaza is alive” e nel 2019 ha scalato l’Everest ed è stato il primo palestinese a issare la bandiera della Palestina sul monte.
«Sono stato uno dei fondatori di “Gaza is alive”, abbiamo usato la danza come modalità espressiva, offrivamo supporto psico-sociale per stare vicino ai bambini palestinesi che vivono sotto assedio e che hanno subito traumi da guerra. Uscire dall’assedio a Gaza nel 2019 e scalare l’Everest è stato un sogno che si è avverato. Sono stato d’esempio per i bambini della mia città, anche io sono stato un bambino e so com’è difficile esserlo a Gaza. Vedere i bambini orgogliosi di questo mi ha reso felice».
Vite distrutte
Molti palestinesi costruiscono le loro case di famiglia sopra quelle del padre, una tradizione che significa che diverse generazioni vengono spazzate via in un colpo solo dopo i bombardamenti.
«Già dal quarto giorno ho iniziato a perdere familiari: quattro zii, mio nonno e il mio genero. A Gaza siamo abituati alle guerre, ma questa è diversa. Le armi sono diverse, più letali e la modalità è più feroce questa volta. 12 mila morti ma noi non siamo numeri, siamo 12 mila storie, 12 mila anime, 12 mila esseri umani. Più di un mese di bombardamenti quasi costanti a Gaza hanno lasciato l’intera popolazione in condizioni disperate e catastrofiche. I miei genitori vivevano in un edificio di cinque piani al nord di Gaza che mio padre e i miei zii avevano costruito 40 anni fa. Gli attacchi aerei hanno distrutto tutta la zona. Tutte le infrastrutture sono crollate e chi è rimasto della mia famiglia si è dovuto spostare dai miei zii materni nel centro di Gaza. Ma nemmeno là sono al sicuro».
Sua moglie ha perso la madre e le due sorelle, il fratello è disperso e probabilmente ancora sotto le macerie. «Nel 2021 mi sono sposato. Ho conosciuto la famiglia di mia moglie a Gaza, poi loro si sono trasferiti in Egitto e io anche. Sono stati una famiglia per me, mi hanno accolto e aiutato e sono stati di grande supporto. Hanno sempre vissuto qua in Egitto, sono tornati a Gaza solo due mesi prima dell’inizio della guerra. Il 20 ottobre è nata la mia bambina. Dieci giorni dopo abbiamo appreso della morte di mia suocera e di due delle mie cognate. Le altre due sono in terapia intensiva. Mio cognato, Ibrahim, di 14 anni invece è disperso, da allora non abbiamo sue notizie. Mia suocera era una grande artista e attivista palestinese si chiamava Ines Al Saqqa. È straziante non poter celebrare il funerale o elaborare il lutto delle persone più care a te».
Le notizie arrivano da Telegram o dai telegiornali. «Apprendiamo dei morti da Telegram o dai tg arabi. Seguiamo i bombardamenti sulle chat. Abbiamo saputo della morte della famiglia di mia moglie su Telegram. Avevano scritto sul gruppo del “monitoraggio sul campo” che l’esercito israeliano aveva bombardato il quartiere di mia moglie. Quindi abbiamo chiesto di andare a verificare la situazione, dato che non ci rispondevano. Hanno trovato mia suocera e le mie due cognate morte. Le altre due in gravissime condizioni. Mio cognato di 14 anni ancora non lo troviamo. Lo zio di mia moglie dice che molto probabilmente è ancora sotto le macerie e che non avendolo trovato subito le probabilità che il corpo si sia decomposto sono alte e che comunque ci sarà difficile riconoscerlo. Noi però abbiamo ancora speranza di trovarlo, ogni giorno guardiamo i telegiornali per vedere se tra le immagini dei bambini negli ospedali possiamo trovare anche lui. Non perdiamo la speranza, forse è ancora vivo ma a causa del trauma non parla e non comunica. Le due sorelle sopravvissute ma in terapia intensiva, invece, non riusciamo a farle venire in Egitto per salvarle, tutti i loro documenti, compresi i passaporti, sono persi sotto le macerie».
Evacuare, sì ma dove
Il 12 ottobre, il sesto giorno di guerra, l’esercito israeliano ha imposto agli 1,1 milioni di palestinesi che risiedono nel nord di Gaza di fuggire verso sud – un’evacuazione di massa che le Nazioni Unite hanno definito «impossibile» senza devastanti conseguenze umanitarie.
«Non ci sono rifugi sicuri a Gaza, quando si parla di evacuare dal Nord al Sud molti pensano che la striscia di Gaza sia un territorio vasto, ma non è così; Gaza è un piccolissimo territorio lungo 41 chilometri e largo 7. Pensiamo che dal valico di Rafah che è a Sud a Erez a Nord basta solo un’ora di macchina».