Il Consiglio di Sorveglianza di Meta, società proprietaria delle piattaforme social Facebook e Instagram, ha stabilito, in tre casi distinti, che l’uso dello slogan “Dal fiume al mare”, usato nel contesto del conflitto tra Israele e i palestinesi, non viola le regole dell’azienda contro i contenuti che incitano all’odio.
“Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”, nella sua versione completa, è una frase usata regolarmente nelle manifestazioni a sostegno della causa palestinese, tornata in auge dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza. L’espressione si riferisce al territorio che si estende dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo, che comprende Israele, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.
Lo slogan è soggetto a diverse interpretazioni. Per alcuni si tratta di un appello all’autodeterminazione e alla parità dei diritti tra israeliani e palestinesi, per altri alla costituzione di un unico Stato che includa Israele e i Territori palestinesi. Per altri ancora invece, il messaggio presenta un carattere antisionista (o addirittura antisemita) mirante alla cancellazione di Israele dalle mappe, al cui posto dovrebbe sorgere uno Stato palestinese che si estenda sull’intera regione.
Il Consiglio di Sorveglianza di Meta, costituito nel 2020 per esprimere pareri e raccomandazioni in materia di moderazione dei contenuti sui social dall’azienda, ha esaminato tre casi in cui quest’espressione è stata utilizzata su Facebook. In ciascuno di questi, l’organismo ha ritenuto che l’uso della frase “Dal fiume al mare” non viola le norme della piattaforma contro l’incitamento all’odio, alla violenza e contro individui o organizzazioni pericolose.
Ciascuno di questi casi, ha fatto sapere il Consiglio di Sorveglianza di Meta in una nota pubblicata ieri, conteneva “manifestazioni di solidarietà verso i palestinesi, ma nessun linguaggio che inviti alla violenza o alla discriminazione”. Una minoranza dei membri del Consiglio, si legge nel comunicato, ritiene che la frase debba essere interpretata automaticamente come un’esaltazione della violenza “a meno che il messaggio non contenga chiari segnali contrari”.
L’espressione, ha ricordato il Consiglio, assume “diversi significati” e “di per sé non può essere intesa come un appello alla violenza, alla discriminazione o un messaggio di sostegno a un’organizzazione, Hamas”, che ha incluso tale espressione nella propria carta costitutiva.