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    “Guerra genocida a Gaza”: la Colombia rompe i legami diplomatici con Israele

    Credit: AGF

    La decisione del presidente Gustavo Petro segue di pochi mesi quelle della vicina Bolivia e del Belize

    Di Andrea Lanzetta
    Pubblicato il 3 Mag. 2024 alle 12:10 Aggiornato il 3 Mag. 2024 alle 14:44

    Il presidente della Colombia, Gustavo Petro, ha scelto di rompere i rapporti diplomatici con Israele definendo “genocida” la guerra in corso da quasi sette mesi nella Striscia di Gaza. La mossa del capo dello Stato di Bogotà rende il Paese sudamericano il più grande del mondo ad aver preso questa decisione.

    L’annuncio di Petro è arrivato il primo maggio durante una manifestazione tenuta nella piazza Bolivar della capitale colombiana. “Non possiamo accettare lo sterminio di un intero popolo” ha dichiarato il presidente colombiano. “Se muore la Palestina, muore l’umanità”. Non è la prima volta che il governo della Colombia protesta per quanto sta succedendo a Gaza. Sei mesi fa infatti Bogotà aveva già ritirato il proprio ambasciatore in Israele come altri Stati sudamericani e non.

    La decisione era seguita al bombardamento del campo profughi di Jabalia, che il 31 ottobre scorso uccise almeno 50 palestinesi mentre un altro centinaio rimasero intrappolati sotto le macerie. Allora, insieme a Cile, Giordania, Bahrein, Honduras, Ciad, Sudafrica e Turchia (che ha poi rotto le relazioni commerciali con Tel Aviv), la Colombia decise di richiamare in patria il proprio rappresentante nello Stato ebraico mentre la Bolivia divenne il primo Paese a interrompere i rapporti diplomatici con Israele, seguita poi dal Belize.

    Una mossa a cui ora si accoda anche Gustavo Petro e che è stata “molto apprezzata” da Hamas, che in un comunicato l’ha definita “una vittoria per i sacrifici del nostro popolo e la sua giusta causa” invitando anche altri Paesi a seguire l’esempio del presidente della Colombia, accusato invece dal ministro degli Esteri israeliano Israel Katz di essere un leader “antisemita e pieno di odio”.

    I primi screzi diplomatici erano cominciati subito dopo gli attentati del 7 ottobre compiuti da Hamas e dalla Jihad Islamica. Petro aveva commentato la violenza stragista, notando su X (ex Twitter) che “il terrorismo sta uccidendo bambini innocenti, sia in Colombia che in Palestina”, chiedendo poi una “pace negoziata che consenta l’esistenza di due Stati e due nazioni libere e sovrane; Israele e Palestina”. In seguito, aveva rincarato la dose: “Se fossi vissuto in Germania nel ’33, avrei combattuto dalla parte degli ebrei, e se avessi vissuto in Palestina nel 1948, avrei combattuto combattuto dalla parte palestinese. Ora i neonazisti vogliono la distruzione del popolo, della libertà e della cultura palestinese”. Tutto questo malgrado i forti legami tra Bogotà e Tel Aviv.

    I due Paesi infatti hanno firmato un accordo di libero scambio entrato in vigore nell’agosto del 2020. In forza di questa intesa, secondo i dati del ministero del Commercio di Bogotà, l’anno scorso l’1 per cento di tutte le esportazioni della Colombia, per lo più carbone, caffè e altre materie prime agricole, erano destinate allo Stato ebraico per una somma pari a 499 milioni di dollari, in calo del 53 per cento rispetto al 2022. Al contempo, Israele esporta nel Paese sudamericano apparecchiature elettroniche, materie plastiche e fertilizzanti. Ma è in campo militare che le due capitali fanno i veri affari.

    Le forze armate colombiane infatti utilizzano aerei da guerra e mitragliatrici di fabbricazione israeliana per combattere i cartelli della droga e i gruppi ribelli. Gli oltre 20 caccia Kfir in forza all’aeronautica colombiana sono stati acquistati da Bogotà alla fine degli anni Ottanta e la loro manutenzione può essere effettuata solo da un’impresa israeliana. Malgrado le proposte di diversi costruttori in Francia, Svezia e Stati Uniti, il governo colombiano non ha sostituito questi velivoli.

    Non solo: l’esercito colombiano si avvale anche di fucili mitragliatori Galil, progettati in Israele, e di cui la Colombia ha acquisito i diritti di produzione e di vendita. Inoltre, Tel Aviv assiste Bogotà in materia di cybersecurity. Non è chiaro che effetti avrà la scelta di Petro su questi rapporti, a dire il vero già incrinati negli ultimi mesi.

    Dopo gli attentati del 7 ottobre, Israele ha deciso di bloccare le esportazioni di materiale bellico e per la sicurezza dopo il rifiuto del presidente colombiano di condannare gli attacchi di Hamas e della Jihad Islamica costati la vita a oltre 1.100 persone. Per tutta risposta, a febbraio Petro ha annunciato la sospensione degli acquisti di armi dallo Stato ebraico.

    Inoltre, durante un’audizione tenuta in Parlamento il 30 aprile, il ministro della Difesa colombiano Ivan Velasquez ha annunciato l’istituzione di un comitato di “transizione” per “diversificare” i fornitori militari ed evitare di dipendere da Israele. Tuttavia, Velasquez ha anche fatto sapere che, nonostante la Colombia non firmerà nuovi contratti con Tel Aviv, le intese esistenti saranno rispettate.

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