Chi ha vinto la guerra del gas? Non certo l’Europa. Ma la Russia non ha perso, per ora. Prima della guerra, Mosca era il principale fornitore di gas dell’Unione europea con circa 155 miliardi di metri cubi importati ogni anno, pari al 45 per cento delle forniture.
Nel corso del 2022 però, l’Ue ha ridotto la sua dipendenza dalla Russia: tagliando la quota di metano russo al 12,9 per cento del totale (almeno stando agli ultimi dati disponibili pubblicati dall’Ue nel novembre scorso), grazie soprattutto all’acquisto di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti, con costi maggiori – nonostante il price cap – rispetto alle importazioni da Mosca via gasdotto. Risultato? Il Cremlino ha perso miliardi di dollari, soprattutto per effetto delle sanzioni. Tra gennaio e febbraio, le entrate di Gazprom generate dalla vendita di gas al vecchio continente si sono ridotte di due terzi rispetto al periodo pre-bellico.
Tutto questo però non basta: nel 2023, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), il deficit di gas dell’Unione europea potrebbe raggiungere i 57 miliardi di metri cubi, una carenza pari a quasi il 14,5 per cento dei consumi. Considerando anche il riorientamento dell’export russo verso l’Asia (soprattutto in direzione di Cina e India), per evitare di restare a secco, secondo l’Iea, quest’anno l’Ue dovrà ridurre i consumi di gas di almeno il 13 per cento. E non basteranno neanche le importazioni di Gnl, la cui produzione a livello globale non è destinata a crescere.
Per l’Iea infatti, entro fine anno, l’Unione europea riuscirà sì ad aumentare di 40 miliardi di metri cubi la sua capacità di importazione di gas naturale liquefatto. Ma solo la metà di questo gas arriverà effettivamente in Europa, che sui mercati internazionali dovrà poi vedersela con la Cina, la cui domanda – secondo l’Iea – dovrebbe tornare a crescere «dai livelli insolitamente bassi osservati nel 2022».
E qui torna in gioco proprio Mosca. Se l’Ue ha diminuito la sua dipendenza dai gasdotti, le importazioni di Gnl russo sono aumentate lo scorso anno del 12 per cento rispetto al 2021, rendendo la Russia il secondo maggior fornitore dell’Ue dopo gli Usa. Insomma, l’Europa ha resistito ai prezzi alti, ma Putin non sembra (ancora) aver perso la partita.