Hasan Hirsi è un rifugiato di 21 anni e viene dalla Somalia. Indossa una felpa grigia e i suoi capelli sono neri e corti.
Condivide un appartamento con altri tre richiedenti asilo somali nella piccola città di Landau, nel sudovest della Germania. Qui studia il tedesco per cinque ore al giorno, per prepararsi alla sua nuova vita.
Quando ha lasciato la Somalia, nel 2008, Hirsi non ha scelto di raggiungere l’Europa via mare, attraverso quella che l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) definisce la rotta più letale al mondo.
Ha invece tentato più volte di oltrepassare i confini europei sul fronte orientale, attraverso l’Ucraina.
Hirsi racconta ai giornalisti di Der Spiegel di essere stato arrestato due volte dalle pattuglie di confine ucraine e ungheresi, e due volte dalla polizia slovacca. Le forze di sicurezza ucraine, dice, lo hanno derubato, picchiato e torturato.
Dopo essere stato arrestato, solo per aver cercato protezione in Europa, Hirsi ha trascorso quasi tre anni in quattro diverse prigioni ucraine.
Tra queste c’è Pavshino, un campo di detenzione per immigrati irregolari che si trova nell’ovest dell’Ucraina. Il campo era allora conosciuto tra i rifugiati come la “Guantanamo dell’est“.
Già nel 2005, il Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura aveva espresso dure critiche nei confronti dell’Ucraina per il trattamento inumano e degradante che riservava ai rifugiati.
In particolar modo, destavano preoccupazione le strutture sovraffollate e le condizioni igieniche disastrose.
Durante i mesi a Pavshino, Hirsi è stato costretto a dormire sul pavimento ed è stato picchiato ripetutamente. È stato rilasciato nell’autunno del 2008, poco prima che il centro fosse chiuso in seguito alle proteste internazionali.
A quel punto, si è unito a un gruppo di somali che si dirigevano verso la frontiera dell’Unione Europea.
Quando i migranti irregolari vengono arrestati in Ucraina, sono solitamente smistati in impianti provvisori di detenzione per un paio di giorni prima di essere trasferiti nelle prigioni.
Pochi rifugiati hanno la possibilità di parlare con un avvocato e quindi difficilmente possono fare richiesta d’asilo.
Hirsi è poi stato nuovamente arrestato. Le guardie di frontiera lo hanno interrogato più volte. Quando non rispondeva subito, lo colpivano in faccia.
Le sue mani e i suoi piedi spesso venivano legati con delle fascette, e ha ricevuto persino scosse elettriche.
Successivamente, Hirsi è stato trasferito nel carcere di Zhuravychi, a 50 chilometri dalla città di Luzk, nel nord dell’Ucraina. Anche se ufficialmente non è un carcere, ma solo un alloggio, i rifugiati non sono autorizzati a lasciare il campo: vivono dietro recinti di filo spinato e muri di cemento.
Secondo quanto afferma l’Unhcr, il loro arresto non ha uno scopo legittimo e costituisce una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Hirsi non ha prove per dimostrare ciò che racconta, ma nel 2010 l’organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch ha pubblicato un report sugli abusi e le torture dei rifugiati da parte della polizia di frontiera ucraina.
“Mi hanno colpito alla testa con una pistola. Ero sdraiato a terra, privo di sensi. Mi hanno trascinato in mezzo alla neve. Mi hanno preso a calci sul collo”, ha detto un migrante dal Pakistan all’organizzazione non governativa.
Il governo ucraino ha dichiarato di non avere alcuna prova attendibile di violenza nei confronti dei rifugiati in questi ultimi anni.
L’Unione europea ha fornito sinora 30 milioni di euro di finanziamenti all’Ucraina per costruire e ristrutturare i centri di detenzione per migranti, insieme ad altre strutture in cui questi ultimi vengono ospitati temporaneamente.
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha stanziato diversi milioni di euro per sostenere le autorità ucraine in settori come l’internamento dei migranti irregolari.
In questo modo, come riporta Der Spiegel, Bruxelles spera di ridurre il numero dei richiedenti asilo in Europa “senza attirare troppo l’attenzione”.
La crisi che vivono i rifugiati lungo il confine orientale dell’Europa potrebbe intensificarsi nel corso del conflitto tra il governo di Kiev e i ribelli filorussi.
Il governo ucraino è infatti già impegnato a prendersi cura di quasi un milione di sfollati interni in fuga dai combattimenti.
Leggi l'articolo originale su TPI.it