Migranti intrappolati nel campo di Moria dopo l’incendio: intervista a Msf
Grecia, isola di Lesbo, campo di Moria, le fiamme divampano nel pomeriggio di domenica 29 settembre, uccidono una madre e gettano nel panico la popolazione del campo.
I 13mila migranti che vivono a Moria intrappolati da anni nella totale assenza di servizi, non hanno vie di fuga, credono che i morti dell’incendio siano molti di più, e iniziano a rivoltarsi contro la polizia, che reprime la protesta aggredendo le persone con gas lacrimogeni. Ad assistere alla scena, circa 1000 bambini, sotto shock. Secondo i testimoni, anche due di loro avrebbero perso la vita nel rogo, ma le autorità hanno confermato una sola vittima.
“La cosa più brutta era entrare nel campo e vedere la situazione di completo caos con i container in fiamme e la gente disperata che cercava di cooperare con i vigili del fuoco per tenere a bada le fiamme”, racconta Marco Sandrone, capo progetto di Medici Senza Frontiere (Msf) sull’isola, che da quando l’incendio è scoppiato domenica non ha smesso di lavorare per coordinare la attività della clinica che Msf gestisce fuori dal campo di Moria.
Le équipe mediche hanno prestato assistenza d’urgenza ad almeno 30 persone rimaste ferite negli scontri successivi al rogo tra i migranti che chiedevano di essere evacuati e la polizia.
“Le cose sono improvvisamente peggiorate quando si è iniziato a parlare di morti, la gente è andata in escandescenza e sono iniziati gli scontri. Gli agenti lanciavano gas lacrimogeni e abbiamo iniziato a ricevere pazienti alla clinica, con ferite accidentali dovute alla calca e al caos provocato dall’incapacità di trovare soluzioni”.
“Tutto quello che le autorità sono state in grado di fare è aumentare il numero di poliziotti”, continua.
Una situazione da guerriglia all’interno di un campo già di per se limitato, dove a soffrire sono soprattutto i bambini, che rappresentano il 40 per cento della popolazione.
“Il fatto che il 40 per cento dei migranti siano bambini rende l’idea di come i più piccoli possano vivere una situazione di guerriglia”, racconta ancora Sandrone.
“Le persone sono in completo shock. C’è tensione anche fuori dalla nostra clinica: in queste circostanze la gente perde il controllo e le dinamiche non sono gestibili. Tutti i pazienti sono sconvolti”.
Otto dei pazienti curati sono stati trasferiti in ospedale con l’ambulanza, gli altri sono tornati nello stesso luogo in cui è scoppiato l’incendio, dove ci si ritrova a condividere un bagno in 90 persone e una doccia in 40, dove non ci sono servizi sanitari, si dorme per terra e senza coperte e se ci si mette in fila per ricevere un pasto non sempre si riesce a mangiare o arrivare salvi alla fine.
L’incendio, racconta Marco, è solo il risultato finale di una situazione precaria e disumana che si protrae da tempo, da quando l’Unione Europea e la Turchia hanno stipulato l’accordo per identificare nei centri di accoglienza delle isole greche i migranti che giungono sulle coste del mar Egeo dall’Africa, dall’Asia o dal Medio Oriente, e in cui la maggior parte degli ospiti sono rimasti intrappolati.
Ci vogliono anni per ottenere la prima intervista per la richiesta d’asilo, e nel frattempo i richiedenti non possono essere trasferiti sulla terra ferma, sempre per via delle clausole contenute nell’accordo.
La Grecia, quando la situazione è diventata insostenibile, ha trasferito alcune persone verso Atene o Salonicco, ma in struttura emergenziali simili a quelle del campo di Moria, senza cioè offrire una soluzione a lungo termine ai migranti disperati.
“Quello che più sconvolge della situazione attuale è la totale assenza d’informazioni e piani a lungo termine per le persone del campo. Si parla di trasferimenti nella Grecia continentale, ma questi sono stati assolutamente inadeguati rispetto agli arrivi. Da quando sono arrivato a metà luglio la popolazione del campo è praticamente raddoppiata: da 6500 a 13mila persone, con la già precaria offerta di servizi medico sanitari”, spiega Marco.
“Ci sono più di 1000 minori non accompagnati che dovrebbero essere evacuati insieme ai malati e alle donne incinta e in realtà questa risposta non arriva. E se arriva, come è stato a inizio settembre con un trasferimento di 1500 persone, lo si fa con un trasferimento dalla vita di una tenda a un altro campo in Grecia continentale senza alcun tipo di servizi”, continua.
“Se le soluzioni in Grecia non esistano bisogna trasferire i migranti nei Paesi europei in grado di accoglierli”, afferma ancora il capo progetto Msf.
L’organizzazione medico umanitaria chiede da anni, da quando il centro è diventato una prigione a cielo aperto, che il campo di Moria e quelli allestiti nelle altre isole di Kios, Kos e Samos, siano evacuati, ma questo continua a non avvenire, nonostante la situazione di degrado sia nota a tutti, dalle autorità alle organizzazioni umanitarie che denunciano puntualmente la violazione dei diritti umani negli hotspot.
“La gente è frustrata, ha perso la speranza e la capacità di guardare avanti perché non ha nessun tipo di informazione rispetto a quando potrà lasciare l’isola”, precisa Sandrone.
“Ci sono richiedenti asilo che hanno ricevuto appuntamento per la prima intervista nel 2021, persone che già sanno che dovranno passare mesi se non anni dentro il campo in queste condizioni. Abbiamo genitori che tutti i giorni vengono a portare i bambini nella clinica pediatrica fuori dal campo e ci rendiamo conto della paura incredibile che hanno a lasciare i bimbi da soli, perché a Moria non c’è alcun tipo di sicurezza garantita, di notte è pericoloso e questo impatta in maniera devastante la loro condizione non solo medica ma anche psicologica”.
Marco spiega che lo stato psicologico devastante in cui vertono adulti e bambini è palpabile nella clinica di Mitilene, dove i casi che le equipe mediche ricevono sono sempre più gravi. Ma i pazienti che gli operatori seguono, alla fine dell’assistenza, tornano a vivere nell’inferno che è diventato il campo, senza riuscire a riprendere la propria vita in mano.
“Ci auguriamo che venga trovata una soluzione politica per porre fine a questa assurda dinamica di contenimento, ci auguriamo che questo ennesimo e tragico episodio possa avviare una riflessione politica seria per modificare un meccanismo disumano”, conclude Sandrone, e racconta che adesso a Moria, anche se l’incendio e gli scontri si sono placati, la tensione è ancora palpabile, perché si continua a vivere nell’incertezza.
“Nessuno riesce a capire quello che sarà il domani”.
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