Il governo di Theresa May si è “salvato” dal voto di sfiducia, con 306 sì e 325 no. L’esecutivo resta in carica.
Theresa May incontrerà già questa sera l’opposizione per trovare “una soluzione negoziabile” sulla Brexit. May tornerà alla Camera dei Comuni il prossimo lunedì. “Questa Camera ha ancora la fiducia del popolo britannico”, ha detto May.
“Prima che possano esserci discussioni positive sulla via da seguire, il governo deve rimuovere chiaramente la prospettiva di una catastrofe: l’uscita senza un accordo. Invito il primo ministro a tenerne conto fin da ora”, ha detto il leader laburista Jeremy Corbyn alla Camera dei Comuni.
“Ieri notte la camera ha respinto l’accordo del governo e lo ha fatto in maniera molto forte”, ha detto Corbyn, “ora deve essere evitato il no deal“.
Il 15 gennaio 2019, subito dopo la bocciatura da parte del parlamento britannico dell’accordo Brexit, il leader dell’opposizione Corbyn aveva presentato una mozione di sfiducia contro il governo.
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Se la mozione di sfiducia avesse ottenuto la maggioranza dei voti, la premier avrebbe dovuto dimettersi, secondo consuetudine. A quel punto un nuovo leader avrebbe dovuto presentare la sua candidatura alla House of Commons, a cui spetta il compito di dare la fiducia o meno al nuovo governo.
Tuttavia, nonostante i Conservatori e il partito unionista nordirlandese avessero votato contro l’accordo, era improbabile che decidessero di votare contro anche oggi, affossando il governo e consegnando il paese ai laburisti.
L’ipotesi elezioni anticipate, qualora nessuno fosse riuscito a ottenere la fiducia del parlamento, era comunque dietro l’angolo.
Il nuovo esecutivo avrebbe avuto 14 giorni per ottenere l’ok della Camera dei comuni, prima di andare a elezioni anticipate.
Il fatto che il governo May oggi sia salvo, non significa che non possa trovarsi a dover affrontare in futuro una nuova mozione di sfiducia, che i laburisti potrebbero presentare in qualsiasi momento.
L’ultima volta che un governo inglese è stato sconfitto da una mozione di sfiducia è stata nel 1979, quando il premier laburista Jim Callaghan ha ricevuto 311 voti contrari.
Un’altra opzione dopo il No alla Brexit sarebbero state le dimissioni della premier, ma la May ha subito affermato che avrebbe proseguito il suo lavoro per portare il Regno Unito fuori dall’Unione.
Quattro sono gli scenari possibili dopo il voto di stasera:
• Chiedere a Bruxelles nuovi negoziati in extremis, entro il 29 marzo
• Prolungamento del periodo di transizione
• Hard Brexit, un’uscita senza accordo, come vorrebbe la maggioranza dei Tories, il partito della May
• Nuovo referendum con la possibilità di una retro marcia sulla Brexit
Come aveva già dichiarato prima ancora dell’esito del voto di sfiducia, la premier May si era detta pronta a rimanere alla guida del governo, per continuare a negoziare con Bruxelles, per trovare un accordo definitivo e accontentare la maggioranza parlamentare, che ieri ha bocciato l’accordo.
May ha tempo fino al 29 marzo per portare a casa un nuovo accordo che metta d’accordo tutti: il suo stesso governo, l’Ue e il parlamento britannico. Questa opzione è la preferita della May.
L’ipotesi di un nuovo referendum è stata scartata da Theresa May, che ha detto che a questa opzione sarebbe preferibile persino quella del No deal, comunque osteggiata dalla premier, e – ovviamente – dalle opposizioni.
Intano Jeremy Corbyn ha detto che il suo partito potrebbe votare un accordo se questo prevederà un’unione doganale permanente.
L’opzione che infine potrebbe rivelarsi quella più realizzabile è lo spostamento in avanti del periodo di transizione, che scade il 29 marzo. Le istituzioni europee potrebbero accettare di spostare a luglio il termine entro cui raggiungere un accordo. Il punto interrogativo di questo scenario è rappresentato dal fatto che a maggio ci sono le elezioni europee.
Se l’uscita fosse posticipata di qualche mese, il Regno Unito dovrebbe partecipare alle elezioni europee, preparando una campagna elettorale in tutta fretta.
Un secondo referendum è davvero possibile?
La via più probabile per questo risultato è che il patto di Theresa May, non venendo approvato, faccia divenire realtà l’opzione del voto popolare. I parlamentari sia laburisti sia conservatori dovrebbero optare per un secondo referendum ritenendo insostenibili le altre opzioni, quella dell’uscita senza accordo o quella della rinegoziazione.
Bisognerebbe quindi far passare l’emendamento che chiede il voto popolare, dove si domanderebbe di scegliere fra diverse opzioni. Già, ma quali? Uscire senza accordo, accettare l’accordo o, sogno proibito degli eurofili, rimanere nell’Ue rovesciando il risultato del referendum?
Sarebbe il trionfo del movimento trasversale del People’s Vote, che è cresciuto nel tempo sino a portare in piazza oltre 700.000 persone a Londra. Un secondo referendum richiederebbe anche un’estensione significativa dell’articolo 50, sollevando dubbi sul fatto che il Regno Unito avrebbe dovuto partecipare alle elezioni europee del prossimo anno, con i suoi, ormai ex, 73 seggi nell’assemblea di Strasburgo.
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