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    Google contro tutti

    La società di Mountain View è indagata in diversi Paesi per abuso di posizione dominante. E i suoi rivali cercano di approfittarne

    Di Giovanna Carnevale
    Pubblicato il 22 Apr. 2013 alle 06:33 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 11:45

    È difficile definire anticompetitivo un comportamento che si è consolidato sui principi del libero mercato.

    In regime neoliberista, quando i prodotti di un’azienda soddisfano la maggioranza dei consumatori, non importa se la concorrenza si riduce al minimo. O meglio, non importa al mercato, ma i rivali di quella azienda potrebbero non essere d’accordo.

    I concorrenti di Google, ad esempio, non accettano il fatto che a loro sia lasciata solo una piccola fetta del mercato di internet, divorato per il resto dal gigante di Mountain View. Ostacolare la sua posizione dominante nel mondo del web sta diventando il loro obiettivo principale. E per farlo si appellano alle normative antitrust degli Stati.

    Fairsearch.org è un gruppo di imprese e organizzazioni nato per “promuovere la crescita economica, l’innovazione e la scelta nell’ecosistema di Internet, tramite l’incoraggiamento e la difesa della competizione nella ricerca online e mobile”. Tra i nomi dei suoi membri spiccano quelli di Microsoft, Nokia, Expedia e Tripadvisor.

    L’accusa di abuso di posizione dominante che muovono a Google, il sito più visitato al mondo, potrebbe far dubitare di uno dei cardini dell’economia di mercato, così come è diventata negli anni del neoliberismo: è legittimo che un’azienda acquisisca il monopolio di un settore economico tanto ampio? Per quanto una risposta negativa della legge al quesito possa essere in futuro controproducente per le stesse aziende competitrici, al momento i componenti di Fairsearch.org non ne trarrebbero che vantaggi. E per loro fortuna, gli spunti per attaccare Google non mancano.

    Google Inc. nasce nel 1998 in California da un’idea di due studenti dell’Università di Stanford, Larry Page e Sergej Brin, che inventano un nuovo modello di ricerca su internet basato sull’algoritmo Pagerank. L’efficienza di questo sistema, che valuta l’importanza (rank) di un sito in base alla quantità e all’autorevolezza dei suoi link in ingresso, si è rivelata assoluta.

    Nel 2004 Google Inc. viene per la prima volta quotato in Borsa, e nel 2012 il suo valore supera quello della Microsoft, raggiungendo una capitalizzazione di mercato di 190 miliardi di euro (582 euro per azione). Google è un’azienda mondiale con più di 32 mila impiegati e un guadagno medio annuale di circa 29 miliardi di euro.

    Dal 2001 al 2012 ha acquisito 109 compagnie, tra cui il sistema operativo per dispositivi mobili Android nel 2005, il celebre sito Youtube nel 2006 (per 1,2 miliardi di euro) e la Motorola Mobility (Mmi) nel 2011 per circa 9 miliardi di euro. Con l’acquisto della Mmi, Google si è guadagnata il potere di dettare legge nel mondo della connessione wireless e dell’alta definizione video.

    Insieme alla società, infatti, è entrata anche in possesso di oltre 24 mila brevetti e domande di brevetto. Grazie a essi diventa possibile stabilire standard di settore, indispensabili per tutti quei dispositivi che offrono la connessione a internet, come gli smartphone e i tablet. Sfruttando la proprietà dei brevetti, Google può imporre canoni altissimi a chiunque voglia ottenerne la licenza di utilizzo.

    E la minaccia di ingiunzione è l’alternativa che si pone a tutte quelle compagnie del settore tecnologico che si rifiutano di pagare il prezzo stabilito da Google. Per il titano californiano si tratta di un potere di mercato quasi illimitato. Se infatti le altre aziende devono versare somme elevate per l’utilizzo dei brevetti, i prezzi dei loro prodotti aumentano, svantaggiando prima di tutto i consumatori. Gli investimenti per nuove tecnologie, inoltre, si riducono, insieme alle reali opportunità di concorrenza.

    Nel 2012 Google ha raggiunto il monopolio sulla ricerca mobile detenendo il 95,2 per cento del mercato. Android, il suo sistema operativo, è primo nella classifica dei dispositivi mobili e ricopre circa il 40 per cento del mercato; al secondo posto si posiziona iOS, il sistema operativo di Apple, con il 28 per cento.

    Per mantenere il dominio sul mercato, Google paga sia la Mozilla Foundation (più di 300 milioni di euro previsti nel 2014 per essere impostato come motore di ricerca predefinito sul browser Firefox), sia la Apple, in quanto proprietaria della piattaforma iOS. Nel 2009 Google ha versato 62 milioni di euro alla sua rivale, ma vista la crescita esponenziale delle vendite di unità iOS, si prevede che nel 2014 la somma si alzerà a più di 760 milioni di euro.

    Niente di illecito fin qui, visto che si tratta di accordi bilaterali che avvantaggiano entrambe le parti. Ma lo strapotere del gigante del web si traduce anche in pratiche commerciali volte a scoraggiare direttamente la concorrenza. Non solo tutti i segmenti evidenziati nella pagina principale di Google sono sue proprietà, ma nel momento in cui si effettua una ricerca in settori come i viaggi, il lavoro, la salute, i beni immobili, i primi risultati che si visualizzano sono quelli per cui Google ha ricevuto inserzioni pubblicitarie, in modo che gli utenti vengano subito indirizzati verso i suoi prodotti.

    La conseguenza è che i siti concorrenti sono danneggiati, e perdono la loro posizione nella ricerca verticale anche se qualitativamente superiori. Il fondatore di GlobalSecurity.org, ad esempio, ha visto degradare il suo sito dal secondo al quindicesimo posto senza nessuna spiegazione da parte di Google, che si è limitata a suggerirgli di comprare più annunci pubblicitari per aumentare il traffico di visualizzazioni.

    Lo stesso è successo al fondatore di AskTheBuilder, che ha perso più del 50 per cento del suo traffico online, e a molti altri imprenditori che hanno un sito web. A ciò si aggiunge il fatto che nelle condizioni contrattuali, Google impone ai suoi inserzionisti il divieto di organizzare altre campagne pubblicitarie su piattaforme concorrenti.

    Eppure era noto sin dall’inizio che Google, essendo fondato su finanziamenti privati, potesse distorcere i risultati di ricerca ed abbassarne il livello di qualità per gli utenti. Nella tesi di laurea del 1998 all’Università di Stanford, i due fondatori di Google sostenevano che “i motori di ricerca finanziati dalla pubblicità saranno sbilanciati verso gli inserzionisti e lontano dalle esigenze dei consumatori. […]

    Un motore di ricerca potrebbe aggiungere un piccolo fattore ai risultati di ricerca di aziende amiche e sottrarne uno a quelle concorrenti”. Gli introiti pubblicitari, riconoscevano Larry Page e Sergej Brin, “procurano un incentivo a fornire risultati di ricerca di qualità scadente”.

    Le aziende di Fairsearch.org portano avanti da anni una campagna contro Google affinché le sue pratiche commerciali vengano riconosciute illecite dagli Stati. Le loro denunce si sommano alle già numerose investigazioni che pesano sul colosso del web in atto in tutto il mondo: attualmente Google è indagata per sospetto abuso di posizione dominante in Europa, Stati Uniti, India, Brasile, Argentina e Corea del Sud.

    Lo scorso gennaio la Federal Trade Commission (Ftc) ha concluso un’importante indagini durata due anni. In base a quanto sostenuto dalla Commissione statunitense, il fatto che Google alteri i suoi algoritmi di ricerca per degradare alcuni siti nella ricerca verticale “può essere giustificato come un’innovazione che migliora i prodotti Google e l’esperienza dei suoi utenti”.

    “Senza dubbio, Google ha preso misure aggressive per ottenere vantaggi sui suoi rivali”, ha detto Beth Wilkinson, consulente esterno della Commissione, “ma la missione della Ftc è di proteggere la competizione, non i singoli competitori”. Per questo nessuna multa gli è stata inflitta, ed è bastato che il gigante del web sottoscrivesse un accordo con la Commissione, in base al quale si impegna a non avviare più procedimenti di ingiunzione per impedire ai rivali di usare i suoi brevetti, e a rimuovere le restrizioni per i suoi inserzionisti, ai quali era impedito di fare pubblicità su prodotti concorrenti.

    Nonostante questa pesante sconfitta, le aziende di Fairsearch.org non vogliono arrendersi, e hanno sostenuto che continueranno a “lavorare insieme alle autorità negli Stati Uniti, in Europa e ovunque Google sia indagata”. Dal 2010 anche la Commissione europea ha aperto un’inchiesta sulla presunta violazione da parte di Google dell’art.102 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea riguardante l’antitrust. E in una lettera al Commissario alla Concorrenza Joaquin Almunia, Fairsearch.org ha chiesto che gli vengano inflitte immediate sanzioni.

    I concorrenti di Google, insomma, devono faticare ancora molto nella speranza che venga riconosciuta la legittimità delle accuse che rivolgono al loro più acerrimo nemico. Ma il percorso che hanno intrapreso sembra volgere a un obiettivo che è già stato dequalificato in termini di utilità dalle leggi economiche dominanti: dimostrare che in alcuni casi la libertà di concorrenza si traduce in impossibilità a competere. Nella realtà economica attuale, il loro atteggiamento appare quello di chi si lamenta delle regole di un gioco a partita già iniziata: lo scopo di fondo è reclamare una vittoria che si voleva per sé.

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