Da quando il London Eye è stato inaugurato nel 2000, l’area di Londra a sud del Tamigi è diventata un’attrazione turistica da 270 milioni di euro l’anno.
La costruzione del Millennium Bridge e la conversione di una vecchia centrale elettrica nella Tate Modern hanno fatto moltiplicare le attività commerciali di Southbank, il quartiere che si estende lungo circa 1 chilometro ospitando gallerie, teatri, negozi di souvenir, mercatini, ristoranti e caffè.
Oggi però una comunità di 150mila persone ha in parte arrestato questo processo. Sono gli skaters e gli artisti urbani del Southbank Skatepark, il più antico parco per gli skaters ufficialmente riconosciuto e ancora esistente al mondo. Popolano le piste dello spazio sottostante il Southbank Centre (il centro per le arti più grande di Europa) fin dagli anni Settanta.
Indossano felpe e pantaloni larghi, scarpe da ginnastica con suole di gomma che aderiscono bene alla tavola e portano quasi sempre cappelli con la visiera. Sulle loro magliette c’è spesso un logo o una scritta. “Skate and destory, skate or die. Skateboarding is not a crime”. Così come sui loro tatuaggi.
Ma quando a marzo del 2013 è stata annunciata la trasformazione dello skatepark in un’area commerciale di ristoranti e negozi, le scritte sulle loro braccia sono cambiate e le loro magliette hanno iniziato a riportare un nuovo slogan: “Long live Southbank”. È questo il nome della campagna con cui gli skaters si sono opposti a un progetto da 152 milioni di euro.
Ben Stewart ha 21 anni, è uno skater e anche uno dei fotografi ufficiali della campagna. Parla scandendo le parole con tono deciso, e muove tutto il corpo come fosse sullo skate. Quando si è recato per la prima volta allo Skatepark aveva 12 anni. Non c’era uno spazio del genere nel comune a sudest di Londra dove è nato e cresciuto, a Bexley.
Lo skatepark è uno spazio aperto a pochi metri dal Tamigi. Ci sono piste per skateboard e motocross, e una ringhiera dove chi cammina sulla riva si affaccia a guardare. È coperto al di sopra da una delle sale del Southank Centre, motivo per cui negli anni Settanta fu il naturale luogo di nascita dello skateboarding in Gran Bretagna.
La pioggia di Londra non era adatta a uno sport importato dalla California, e la copertura offerta dal Southbank Centre era l’ideale per gli skaters.
“È lo skateboarding che mi ha fatto avvicinare alla macchina fotografica”, spiega Ben, che oggi studia fotografia alla University of East London. “Venivo qui ma quando tornavo a casa volevo mostrare ai miei amici lo skatepark e quello che questi ragazzi stavano facendo. Allora ho iniziato a fotografarli”.
Da quando il piano di ristrutturazione è stato annunciato, Ben e i membri del Long Live Southbank hanno posizionato un tavolo di fronte alla ringhiera e hanno cominciato a fermare i passanti per raccontare loro quello che stava per succedere, invitandoli a donare fondi per la campagna e a firmare una petizione che chiedeva al parlamento di Westminster di bloccare il nuovo sviluppo del parco. “You can’t move history”, è un altro dei loro slogan.
Hanno bussato alle porte dei cittadini della Southbank e delle associazioni più importanti della città. Lo scorso settembre hanno prodotto un report di 120 pagine che conteneva foto e ricerche sul valore storico, artistico e culturale dello spazio urbano.
Lo hanno distribuito manualmente a più di 150 istituzioni, tra cui il parlamento, l’ufficio del sindaco Boris Johnson, la sede del quotidiano The Guardian e l’ambasciata degli Stati Uniti.
A giugno la parlamentare laburista Kate Holey ha portato a Westimnster una petizione contro il progetto firmata da 40mila persone. Il comune di Lambeth (dove si sviluppa il centro) ha ricevuto più di 27mila “lettere individuali di obiezone” che chiedevano di non finanziare il piano, diventato così il più impopolare della storia.
Anche il sindaco si è espresso in favore degli skaters, e ha definito il parco “l’epicentro dello skateboarding in Gran Bretagna e parte della fabbrica culturale di Londra”.
Il 18 settembre scorso, dopo 18 mesi di campagna, gli attivisti hanno annunciato sul loro blog di aver raggiunto un accordo vincolante con il Southbank Centre, che assicura agli skaters la sopravvivenza di quella che da più di 40 anni è la loro casa.
Per Tomak, skater polacco di 27 anni, Long Live Southbank non è stata la vittoria degli skaters contro le autorità, ma di tutti i cittadini di Londra, che hanno salvato uno spazio che appartiene a tutti. “Long Live Southbank non è stata una guerra”, dice.
Ma alcuni l’hanno definita una vittoria vuota. Lo schema di sviluppo del Southbank Centre prevedeva la ristrutturazione di una delle sue sale concerti (la Queen Elizabeth Hall), della sua galleria d’arte, l’Hayward Gallery, e la costruzione di negozi e ristoranti al posto dello skatepark, che si sarebbe dovuto spostare 120 metri più a sud.
Le nuove attività commerciali avrebbero creato 700 nuovi posti di lavoro e le entrate generate avrebbero finanziato un terzo del costo totale del progetto.
Secondo Ricky Burdett, direttore del London School of Economics Cities programme, che studia come i cittadini interagiscono con lo spazio urbano a loro disposizione, il fatto che gli skaters si esercitino in un luogo aperto al pubblico fa sì che sia di tutti.
“Le attività degli skaters non sono una esercitazione privata che riguarda solo alcuni, ma l’intera comunità. Il fatto che appaia così com’è e che da 40 anni ci passino ogni giorno 1.000 persone circa è esattamente il suo fascino”.
Long Live Southbank è diventato un esempio unico di protesta per la rivendicazione di uno spazio pubblico che non ha conosciuto scontri e violenza. Birce Bora è una giornalista turca, corrispondente dell’Hurriyet a Londra. Più di un anno fa ha partecipato alle rivolte per la difesa di Gezi Park.
“A Istanbul stavano manifestando per una causa simile, anche lì volevano costruire attività commerciali al posto di un parco. Ma quello di Piazza Taksim è stato un movimento totalmente diverso. Lì la polizia ci lanciava i gas lacrimogeni, e noi manifestavamo per il diritto stesso di protestare”, dice.
“Qui il sindaco ha mandato una lettera di supporto alla campagna. Avere la possibilità di muoversi e parlare con le autorità come hanno fatto gli skaters di Londra è un sogno per me e per tutti quelli che sono rimasti feriti a piazza Taksim”, conclude.
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