Tra le migliaia di persone arrestate dalle autorità turche per presunti legami con gli autori del golpe fallito del 15 luglio c’è anche un giudice delle Nazioni Unite, Aydin Sefa Akay, cittadino turco e membro del tribunale Onu che sta processando gli ultimi crimini di guerra commessi in ex Jugoslavia e in Ruanda. Nonostante l’immunità diplomatica garantita dalla sua carica, Akay risulta trovarsi in carcere dal 21 settembre 2016.
Dopo la notizia dell’arresto, il presidente dell’organo di cui Akay è parte, lo statunitense Theodore Meron, e le Nazioni Unite stesse si sono attivate per contattare il governo turco ma non hanno ricevuto risposta. Così il 9 novembre hanno denunciato la vicenda presso l’Assemblea generale Onu a New York.
Il presidente Meron ha confermato che le Nazioni Unite hanno inoltre richiesto più volte di ricevere materiale informativo sulle cause della detenzione e sulle condizioni del magistrato, senza mai ricevere alcuna risposta.
La figlia del magistrato vive in Italia e ha lanciato un appello verso la comunità internazionale e il nostro paese affinché aiuti il padre.
“Al di là del fattore umano, comune purtroppo a molte altre persone, il caso particolare segna un nuovo traguardo: con la permanente lesione dell’ immunità diplomatica del giudice Onu, La Turchia sta ledendo, giorno dopo giorno, l’articolo 7 dello statuto di sicurezza della Carta delle Nazioni Unite, cui formalmente aderisce”, si legge nel messaggio diffuso online dalla figlia.
Akay è membro del Meccanismo residuale internazionale per i tribunali penali (Irmct), il cui compito è quello di concludere le attività residue dei Tribunali penali internazionali per il Ruanda e per l’ex-Jugoslavia.
La notizia del suo arresto è stata mantenuta in un primo momento riservata, ma è stata resa pubblica quando i familiari hanno potuto constatare che gli sforzi delle Nazioni Unite sono stati vani.
Dopo il fallimento del golpe e la dichiarazione dello stato di emergenza, in Turchia oltre 110mila giudici, insegnanti, poliziotti e funzionari pubblici sono stati sospesi o allontanati e 36mila formalmente arrestati nel corso della repressione attuata dal presidente Recep Tayyip Erdogan per presunti legami con gli autori del tentato colpo di stato.