Il 25 aprile scorso, Reporters sans frontières (Rsf) ha pubblicato la sua classifica mondiale della libertà di stampa per il 2018. Un documento che testimonia, si legge nell’analisi, “l’accrescimento dell’odio verso i giornalisti. L’ostilità nei confronti dei media, incoraggiata dai politici e dalla volontà dei regimi autoritari di esportare la loro visione del giornalismo, minaccia le democrazie”.
Norvegia e Corea del Nord mantengono la prima e l’ultima posizione in classifica. L’Italia sale di sei punti rispetto all’anno precedente e si piazza al 46esimo posto, dietro agli Stati Uniti di Trump che perdono due posizioni.
Scrive ancora Rsf: “In alcuni paesi, il confine tra brutalità verbale e violenza fisica è sempre più sottile”.
Nelle Filippine (133esimo posto, -6 posizioni), il presidente Rodrigo Duterte, facile a insulti e minacce, ha avvisato i media: “Solo perché sei un giornalista, non significa che tu sia esente dall’essere assassinato”.
Nel ultimo bilancio di Rsf si contavano 326 giornalisti in carcere, 54 in ostaggio da qualche parte del mondo, 2 scomparsi e 65 morti ammazzati. Di questi ultimi, 39 sono stati presi intenzionalmente di mira perché le loro indagini disturbavano interessi di lobbies economiche o di gruppi politici o portavano alla luce affari e connivenze con le mafie (leggi qui – Rsf).
Se nel 2017 la Siria rimane, come negli ultimi sei anni, il Paese più mortale al mondo con 12 giornalisti uccisi, uno dei posti dove scrivere sembra sempre più difficile è il Messico. Qui ogni 26,7 ore viene aggredito un giornalista.
Le prime cifre del 2018 parlano di 23 giornalisti uccisi e 176 imprigionati.
Tra i giornalisti uccisi di recente ricordiamo Daphne Caruana Galizia, saltata in aria il 16 ottobre 2017 con la sua auto a Malta, Ján Kuciak, assassinato il 22 febbraio assieme alla fidanzata Martina Kušnírová nella sua abitazione di Veľká Mača in Slovacchia (qui un nostro articolo sull’inchiesta) e i 9 giornalisti morti nel duplice attentato di Kabul. (leggi anche: “Afghanistan, quando è svanita la speranza”: diario da Kabul del corrispondente Afp morto in un attentato).
Leggi anche: Slovacchia: dov’è finito il giornalista Miroslav Pejko, sparito prima che uccidessero Jan Kuciak?
Reporters sans frontières (Rsf) – Italia
L’Italia migliora ma è ancora 46esima per libertà di stampa, un progresso di 6 punti.
“Una decina di giornalisti italiani sono ancora sotto una protezione permanente e rafforzata della polizia dopo le minacce di morte proferite, in particolare, dalla mafia, da gruppi anarchici o fondamentalisti”: è quanto si legge nell’ultimo rapporto 2018.
“Il livello delle violenze perpetrate contro i reporter – prosegue nel rapporto l’Ong – è molto inquietante e non cessa di aumentare, in particolare, in Calabria, Sicilia e Campania. Numerosi giornalisti, soprattutto nella capitale e nel sud del Paese si dicono continuamente sotto pressione di gruppi mafiosi che non esitano a penetrare nei loro appartamenti per rubare computer e documenti di lavoro confidenziali quando non vengono attaccati fisicamente”.
“Dimostrando coraggio e resilienza, questi giornalisti,continuano, nonostante tutto a pubblicare le loro inchieste”,conclude Rsf.
Come è realizzato il report
Rsf distribuisce un questionario tradotto in 20 lingue ai suoi partner in tutto il mondo: associazioni, gruppi e giornalisti che rispondono a 87 domande divise in sette argomenti: pluralismo, indipendenza dei media, contesto e autocensura, legislatura, trasparenza, infrastrutture e abusi. Così si ottiene un primo punteggio, a cui se ne aggiunge un secondo che tiene conto del numero di giornalisti uccisi, arrestati, minacciati e licenziati.
La mappa viene colorata sui punteggi ricevuti: da 0 a 15 punti “buono” (giallo chiaro), da 15,01 a 25 “abbastanza buono” (giallo), da 25,01 a 35 punti “problematico” (arancione), da 35,01 a 55 punti “grave” (rosso), da 55,01 a 100 punti “molto grave” (nero). L’Italia, insieme a Polonia, Ucraina, Ungheria e gran parte del Sudamerica sta proprio nella zona arancione.