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    La giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili

    Le mutilazioni genitali femminili costituiscono una pratica disumana.

    Nel mondo circa 200 milioni di donne hanno subito questa pratica che rappresenta una grave violazione dei diritti umani

    Di Action Aid
    Pubblicato il 6 Feb. 2019 alle 08:00 Aggiornato il 6 Feb. 2021 alle 10:49

    Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono almeno 200 milioni le bambine, ragazze e donne in almeno trenta paesi del mondo che hanno subito una forma di mutilazione genitale.

    Una pratica che rappresenta una grave violazione dei diritti umani oltre che una manifestazione della disuguaglianza di genere e di discriminazione sociale.

    La Mutilazione Genitale Femminile (Female Genital Mutilation – FGM), indissolubilmente legata alla cultura locale, che vede nella mutilazione una sorta di rito di passaggio all’essere donna o un requisito essenziale per il matrimonio, può arrivare a causare la morte di una madre e di un nascituro durante il parto.

    La legge anche per questo proibisce in tutto il mondo, inclusa l’Africa, la mutilazione genitale a danno delle ragazze. Ciò nonostante, le FGM fanno ancora parte dei riti di passaggio dall’infanzia all’età adulta, soprattutto nelle comunità nomadi.

    In alcune regioni africane la mutilazione identifica il momento in cui una ragazza è pronta per il matrimonio e, come parte importante, preziosissima, dell’identità comunitaria, è profondamente radicata nelle tradizioni e nelle norme sociali.

    Secondo l’associazione Amref che si occupa di prevenzione, sfidare simili pratiche nocive tradizionali è assolutamente cruciale per un futuro sano delle giovani donne e dei loro bambini.

    Sul sito dell’Unicef si legge che ogni anno sono almeno tre milioni le ragazze e le bambine a rischio in Africa. Se non ci sarà una riduzione della pratica, il numero delle ragazze mutilate ogni anno rischia di crescere dai 3,6 milioni del 2013 ai 6,6 milioni entro il 2050.

    Il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili interessa oggi anche gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia e la stessa Europa, Italia compresa; sebbene i dati sulla sua diffusione nei Paesi europei non siano noti, l’Europarlamento stima che siano circa 500mila le donne e le ragazze che convivono con le mutilazioni.

    Nonostante i progressi ottenuti e il fatto che sia formalmente illegale in diversi Paesi africani, le mutilazioni genitali femminili rimangono una pratica comune in vaste regioni dell’Africa occidentale, orientale e nord-orientale, soprattutto a discapito delle bambine tra i 4 e i 12 anni di età.

    È infatti il continente africano a detenere il triste primato con 91,5 milioni di ragazze di età superiore a 9 anni vittime di questa pratica e circa 3 milioni di altre donne che ogni anno si aggiungono al totale.

    In Ghana, la diffusione delle mutilazioni genitali femminili tra le ragazze in età tra i 15 e i 19 anni si attesta poco sotto il 2 per cento, un quarto di quello che era trent’anni fa.

    A causa della legge che vieta le mutilazioni, chi nel Paese vuole sottoporre le proprie figlie all’infibulazione deve passare il confine.

    James Kusi Boama, Upper East Regional Programe Manager di ActionAid Ghana, racconta che molte famiglie ghanesi “costringono le loro figlie a passare il confine con il Togo e il Burkina Faso, che hanno leggi meno punitive, per poi riportarle nel Paese”.

    “Per combattere contro questo fenomeno – prosegue James Boama –  ActionAid sta collaborando sia con le Ong locali ma anche con le associazioni dei Paesi limitrofi. E con COMBAT (Community Based Anti-Violence Teams), una struttura di comunità locali, formata dal corpo di polizia sulla normativa riguardante la violenza domestica, che aiuta le ONG a monitorare evidenziare nuovi casi”.

    In Uganda, le mutilazioni sono di fatto illegali e perseguite dalla legge, ma le normative non stringenti hanno consentito che il fenomeno sia portato avanti in modo clandestino: se prima le bambine subivano le mutilazioni anche con rituali di celebrazioni pubblici, ora le famiglie agiscono in piena clandestinità.

    Molte ragazze vengono trascinate nei confinanti Kenya e Tanzania dove la cultura del silenzio è talmente pervasiva che le mutilazioni genitali femminili non vengono denunciate alla polizia.

    In Etiopia, il lavoro di ActionAid si concentra sulla creazione di gruppi organizzati di donne, ma vengono portate avanti anche attività con i leader religiosi e tradizionali, che giocano un ruolo fondamentale nel plasmare il comportamento e l’atteggiamento delle comunità.

    Sulla sponda del fiume Wabe, nella regione dell’ Oromia, vive una comunità chiamata Woredube; una comunità tristemente nota nella regione per la forma brutale di mutilazione genitale femminile che viene praticata al suo interno: l’infibulazione.

    Secondo la tradizione della comunità, una volta superato il settimo compleanno, tutte le bambine sono tenute a sottoporvisi. Tradizione vuole che anche le donne adulte vengano sottoposte a ripetute infibulazioni, ogni qual volta i rispettivi mariti stanno lontano da casa per qualche tempo, essenzialmente al fine di controllarne il corpo e la sessualità.

    Questa pratica ha costretto generazioni e generazioni di donne e ragazze della comunità ad una vita di agonia, in termini fisici ma anche psicologici.

    Un destino segnato dal sommarsi degli effetti immediati e di lungo termine della pratica– dalle emorragie al dolore acuto durante la cerimonia, alle infezioni che possono subentrare, alle difficoltà nello svolgere un qualsiasi lavoro provocate dalla cicatrice, fino alla conseguenza più estrema, la morte.

    Riconoscendo la gravità del problema, ActionAid sta realizzando, a Seru, attività che mirano a sradicare tali pratiche dalla comunità: come workshop di sensibilizzazione, organizzazione di Women Watch Groups (WWGs) composti da donne, giovani e leader religiosi; organizzazione di momenti di discussione comunitari; promozione di eventi per mettere al bando le mutilazioni genitali femminili.

    Un processo lento di sensibilizzazione che però sta portando alcuni frutti. Sono le donne e le ragazze che in prima persona iniziano ad attivarsi e ad opporsi alla tradizione, segnalando i singoli casi ai Watch Groups del villaggio vicino ed arrivando a interpellare gli organi giudiziari del Woreda (è un livello intermedio della suddivisione amministrativa dello stato etiope, superiore al Kebele, NdR), presso cui chi compie queste pratiche viene processato e incarcerato, oltre ad essere oggetto di stigmatizzazione sociale.

    Purtroppo secondo il sito dell’UNICEF, la pratica delle MGF è documentata e monitorata in 27 paesi africani e nello Yemen. Ma in altri Stati (India, Indonesia, Iraq, Malesia, Emirati Arabi Uniti e Israele) dove si ha la certezza che vi siano casi di MGF, mancano indagini statistiche attendibili.

    Meno documentata ma sicura è la notizia di casi di mutilazioni avvenute in America Latina (Colombia, Perù), e in altri paesi dell’Asia e dell’Africa (Oman, Sri Lanka, Rep. Dem. del Congo) dove tale pratica non è mai diventata una tradizione vera e propria.

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