Al TED di Vancouver Carole Cadwalladr, la cronista dell’Observer che ha svelato lo scandalo dell’uso improprio di dati personali di Cambridge Analytica, ha spiegato come i social abbiano influito (anche) sulla Brexit. E come stanno facendo del male alle democrazie di tutto il mondo.
“Il giorno dopo il voto sulla Brexit, quando la Gran Bretagna si è svegliata con lo choc di scoprire che stavamo davvero lasciando l’Unione Europea, il mio direttore al quotidiano Observer, mi ha chiesto di tornare nel Galles meridionale, dove sono cresciuta, e scrivere un reportage. È lì che le persone mi hanno iniziato a parlare di inserzioni su Facebook particolari”, racconta Cadwalladr nel discorso completo tradotto da Agi.
Nella cittadina di Ebbw Vale il sessantadue per cento delle persone hanno votato per lasciare l’Unione Europea. Una larga maggioranza e tutti dicono di aver fatto questa scelta per “la paura dell’immigrazione”.
Secondo le statistiche, Ebbw Vale ha uno dei più bassi tassi di immigrazione del Galles. “Poi quando è uscito il mio articolo una donna mi ha contattata e ha detto di abitare a Ebbw Vale e mi ha detto di tutto quella roba che aveva visto su Facebook durante la campagna elettorale. Io le ho chiesto, quale roba? E lei mi ha parlato di roba che faceva paura, sull’immigrazione in generale, e in particolare sulla Turchia. Allora ho provato a indagare, ma non ho trovato nulla. Perché su Facebook non ci sono archivi degli annunci pubblicitari o di quello ciascuno di noi ha visto sul proprio “news feed”. Non c’è traccia di nulla, buio assoluto”, spiega la giornalista nel format TEDx.
Questo referendum avrà un profondo effetto per sempre sulla Gran Bretagna: i produttori di auto giapponesi che vennero in Galles e nel nord est offrendo un lavoro a coloro che lo avevano perduto con la chiusura delle miniere di carbone, se ne sono già andati a causa della Brexit.
Secondo la giornalista dell’Observer “l’intero referendum si è svolto nel buio più assoluto perché si è svolto su Facebook. E quello che accade su Facebook resta su Facebook. Perché soltanto tu sai cosa c’era sul tuo news feed, e poi sparisce per sempre, ma così è impossibile fare qualunque tipo di ricerca. Così non abbiamo idea di quali annunci ci siano stati, di quale impatto hanno avuto, o di quali dati personali sono stati usati per profilare i destinatari dei messaggi. O anche solo chi li ha pagati, quanti soldi ha investito, e nemmeno di quale nazionalità fossero questi investitori”.
Nel Regno Unito non esiste un limite ai soldi che puoi spendere in campagna elettorale. La campagna elettorale del referendum si è svolta soprattutto online. “Puoi spendere qualunque cifra su Facebook, Google o YouTube e nessuno lo saprà mai, perché queste aziende sono scatole nere. Ed è esattamente quello che è accaduto”, ricorda la reporter.
Poi continua: “La campagna ufficiale per il Leave ha riciclato quasi 750 mila sterline attraverso un’altra entità che la commissione elettorale aveva giudicato illegale, e questo sta nei referti della polizia. E con questi soldi illegali, “Vote Leave” ha scaricato una tempesta di disinformazione. Con annunci come questi (si vede un annuncio che dice che 76 milioni di turchi stanno per entrare nell’Unione Europea). E questa è una menzogna”.
Poi attacca Carole Cadwalladr l’estrema destra inglese: “C’era un altro gruppo, che era guidato da quest’uomo (mostra una foto), Nigel Farage, quello alla sua destra è Trump. E anche questo gruppo, “Leave EU”, ha infranto la legge. Ha violato le norme elettorali e quelle sulla gestione dei dati personali, e anche queste cose sono nei referti della polizia. La commissione elettorale ha concluso che era impossibile sapere da dove venissero i suoi soldi”.
La giornalista d’inchiesta parla di “odio e paura seminati in rete in tutto il mondo. Non solo nel Regno Unito e in America, ma in Francia, Ungheria, Brasile, Myanmar e Nuova Zelanda. E sappiamo che c’è come una forza oscura che ci collega tutti globalmente. E che viaggia sulle piattaforme tecnologiche. Ma di tutto questo noi vediamo solo una piccola parte superficiale”.
Il TED si chiude con una domanda: “è questo quello che vogliamo?”.
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