“Cinque anni fa mi hanno lanciato addosso della birra, mi hanno chiamato nera disgustosa. Cinque anni fa sono stata evitata, ignorata e derisa. Cinque anni fa un paese mi ha portata a odiare me stessa. Dopo cinque anni, sto tornando”.
Questo il racconto di Nicole Phillip, giornalista afro-americana del quotidiano statunitense The New York Times che ha trascorso sei mesi a Firenze nel 2013 nel campus della New York University.
La giornalista nel suo articolo ha raccontato la sua esperienza di studentessa in Italia e gli episodi di discriminazione razziale che ha dovuto affrontare nella città toscana.
“Diverse settimane dopo, quando faceva abbastanza freddo per poter indossare uno dei miei maglioni oversize preferiti e un cappello, stavo camminando lungo una strada fiancheggiata da caffè e negozi a Firenze, percorrendo uno di quei marciapiedi incredibilmente stretti, a testa bassa, china sul mio telefono”.
“Mentre passavo davanti ai negozi, quella mattina, notai una donna bianca di mezza età che camminava un paio di metri davanti a me con la borsetta sulla spalla. La donna si fermò di colpo e si voltò verso di me. Mi guardò e si mise a urlare, poi si premette contro il muro. Mi guardai intorno allarmata, pensando che fosse successo qualcosa, ma non riuscivo a capire cosa”, racconta la donna sul New York Times.
“La donna urlò di nuovo, e questa volta si allontanò dal marciapiede. A questo punto, ho notato che i proprietari del negozio mi fissavano. La donna intanto continuava a guardarmi e urlò ancora una volta contro di me. Quando ho detto ‘Cosa è successo?’, si è spaventata ancora di più e mi ha guardato disgustata per avere avuto il coraggio di parlarle”.
Nel corso dei sei mesi trascorsi in Italia, Nicole Phillip si è sentita chiamare “cioccolata” o “nera disgustosa”, è stata scansata dalle persone a cui chiedeva indicazioni perché scambiata per un barbone e aggredita da un uomo su una spiaggia.
Il primo giorno alla New York University di Firenze il tutor le aveva spiegato che in Italia le persone erano “molto dirette” e “politically incorrect”, ma la giornalista non si aspettava certo un trattamento simile in un paese di cui tutti le avevano parlato bene.