“Che fine ha fatto Zeke? Morto per overdose, amico. E invece Dave? Se l’è portato via l’alcol. Oh, e Rick che fa? Vive con sua madre. E che mi dici di James? Lui è diventato un bravo ragazzo”.
Sono le prime parole di Dum Dum Boys, un brano del 1977 in cui Iggy Pop, ormai solista e lanciato verso una carriera di successo dalla sapiente mano di David Bowie, ripercorreva l’amaro finale degli Stooges, il gruppo di cui era stato la voce fino a tre anni prima.
Come intuibile da quelle poche strofe, la band – dopo sette anni di attività (1967-1974) – era ormai una reliquia del passato. Equamente divisa tra chi si era immolato agli eccessi dello stile di vita rock and roll e chi aveva fatto i conti con le bollette da pagare, rinunciando ai sogni di gloria. Solo Iggy, preso dalla sua “lust for life”, la sua sete di vita, era rimasto a cavalcare la tigre della celebrità, nonostante fosse vivo per miracolo.
Per i pochi che non conoscessero il personaggio in questione, Iggy Pop è una delle figure più leggendarie della storia del rock, interprete di brani come The Passenger, I Wanna Be Your Dog e Lust For Life (indimenticabile nella colonna sonora di Trainspotting), e in genere massima espressione di sregolatezza e follia in un ambiente già di suo poco moderato.
Oggi Iggy Pop è l’uomo dalle sette vite, il settantenne più selvaggio che vi possa capitare di incontrare, di cui fa una strana impressione vederlo con una maglietta addosso, vista la sua abitudine a calcare i palchi a torso nudo da quasi cinquant’anni a questa parte.
Il documentario di Jim Jarmusch Gimme Danger, nelle sale italiane per due soli giorni – martedì 21 e mercoledì 22 febbraio – vuole raccontare i sette anni di vita del gruppo degli Stooges, la band di Iggy Pop, e di come la loro musica abbia avuto un’influenza fortissima sul rock dei decenni successivi, nonostante l’apparente insuccesso e la fugacità della loro epopea.
Il narratore principale del film è – come giusto che sia – proprio Iggy, e nonostante la sua figura potrebbe tranquillamente corrispondere alla voce enciclopedica di “rocker tossico e sregolato” – probabilmente in lotta con Keith Richards dei Rolling Stones –, va detto che il ritratto che emerge da Gimme Danger è quello di un gentiluomo lucidissimo e brillante, con una memoria prodigiosa e un senso acutissimo dell’osservazione.
Ascoltarlo mentre disquisisce di spirito apollineo e dionisiaco con un buco in mezzo agli incisivi – risultato di non si sa quali follie – è sicuramente uno spettacolo interessante, ma vederlo ventenne mentre, mezzo nudo e con un collare al collo, si getta sul pubblico dopo essersi spalmato di burro d’arachidi, crea un corto circuito ancora più interessante.
Probabilmente è stato proprio il suo lato colto e curioso a mantenerlo in vita nonostante il suo doppio animalesco, quello che lo spingeva a denudarsi, a tagliarsi, a provocare il pubblico e a farsi tirare bottiglie di birra sul palco dai fan meno amichevoli.
Quello che manca al film è proprio qualche dose in più di quella furia selvaggia: sicuramente nel caso degli Stooges, rispetto ad altri grandi del rock, non abbondano i materiali d’archivio che solitamente fanno la felicità dei fan nei documentari di questo genere, ma la scelta di ridurre al minimo i filmati d’epoca e di usare la musica come sottofondo e non da protagonista finisce per non trasmettere a chi non li conoscesse il valore del gruppo.
Jarmusch, regista di culto e autore del recente Paterson, ha portato il suo stile minimalista – in questo caso più casereccio del solito – anche in questo documentario. La scelta non è stata delle migliori, visto l’effetto ottenuto, che nel migliore dei casi si può definire punk, e nel peggiore dei casi da filmino di uno studente di cinema.
Uno stile troppo patinato avrebbe rischiato di far assomigliare il film a un qualunque special televisivo, ma certe scelte volutamente ingenue fanno un po’ rimpiangere la grandiosità di un film come Crossfire Hurricane, che pochi anni fa celebrò degnamente l’epopea degli Stones.
Resta il piacere di ascoltare dalla viva voce di Iggy Pop e dei (pochi) sopravvissuti all’avventura degli Stooges cosa abbia voluto dire portare la trasgressione, il pericolo, la follia in un mondo musicale all’epoca dominato dalle tonalità calde e delicate della California – un genere che per il protagonista sfiorava il “tradimento culturale”.
In fondo, per uno che ha influenzato decine di gruppi, dai Sex Pistols ai Nirvana, il suo testamento più importante è “aver dato una mano a spazzare via gli anni Sessanta”. E in un film pieno di volti che ormai non ci sono più, essere ancora qui a raccontarcelo.
Ecco il trailer del film, nei cinema italiani che hanno aderito all’iniziativa di Nexo Digital dal 21 al 22 febbraio:
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