A fine marzo scorso è entrato in vigore un nuovo pacchetto di emendamenti che permetterà al Giappone di esercitare la difesa collettiva, dopo un lungo e controverso dibattito che ha visto la mobilitazione di una grossa parte dell’opinione pubblica, contraria alla nuova reinterpretazione dell’articolo 9 della Costituzione fortemente voluta dall’amministrazione Abe.
Dopo mesi di esteso dibattito parlamentare e ampie proteste, la Dieta giapponese ha approvato la nuova legislazione in materia di sicurezza che consentirà al Giappone di inviare le Forze di Autodifesa (Jsdf) all’estero in missioni di peacekeeping e allo stesso tempo di correre in soccorso degli alleati in caso di attacco.
La nuova legislazione rappresenta un punto di svolta per il Giappone, la cui totale riluttanza nell’assumere un ruolo strategico militare sullo scacchiere regionale e internazionale era stata per lungo tempo sancita formalmente dall’articolo 9 della Costituzione e dalla Dottrina Yoshida elaborata durante gli anni della Guerra Fredda.
I marcati cambiamenti geopolitici che hanno interessato lo scenario regionale e l’emergere di nuove e più radicali minacce alla pace e alla sovranità del territorio giapponese, rappresentate dalle ambizioni nucleari della Corea del Nord e dalle forti velleità egemoniche della Repubblica Popolare Cinese, hanno spinto la leadership attuale a sostenere la necessità di un nuovo assetto strategico.
Tale assetto rappresenta una decisa rottura rispetto al tradizionale riluttante realismo che ha caratterizzato la politica estera nipponica dalla fine del secondo conflitto mondiale ad oggi.
Durante il suo secondo mandato, il primo ministro Abe, supportato dalla sua incontrastata leadership all’interno del Partito Liberale Giapponese è riuscito a raggiungere ambiziosi risultati in materia di difesa e sicurezza nazionale, uno su tutti, appunto la controversa reinterpretazione dell’articolo 9 della Costituzione che sancisce il diritto del paese a esercitare il diritto di difesa collettiva.
Sin dal 2013, il governo Abe ha messo a segno una serie di riforme mirate a implementare l’apparato strategico giapponese con l’istituzione del Consiglio nazionale per la sicurezza che insieme alla pubblicazione della Strategia nazionale di sicurezza ha rappresentato il primo vero passo in avanti nell’espansione e nel coordinamento di strutture volte all’organizzazione di iniziative strategiche per garantire la sicurezza nazionale.
Ulteriori misure come l’aumento della spesa militare e la fine del bando sull’esportazione di tecnologia militare, vero cardine della modernizzazione delle proprie forze armate, sono un ulteriore conferma della volontà di Tokyo di ricoprire un ruolo più dinamico nello scacchiere geopolitico regionale.
Con l’approvazione della nuova legislazione, l’Amministrazione Abe ha lanciato un forte segnale ai propri alleati e partner, sottolineando il nuovo ruolo del Giappone nella difesa di principi come la democrazia e il diritto di navigazione, ma anche il tentativo di stabilire importanti sinergie con vecchi e nuovi alleati come gli Stati Uniti, la cui relazione strategica con Tokyo è di importanza vitale nel consolidamento della presenza militare americana in Asia orientale.
Sotto la spinta dell’amministrazione Abe, il Giappone ha rinnovato ed espanso la partnership strategica con Washington attraverso la revisione delle Guidelines for U.S.-Japan Defence Cooperation nell’aprile 2015.
In questo nuovo scenario, Tokyo ha iniziato a ricoprire un ruolo dinamico all’interno dell’alleanza e sarà in prima linea nella difesa dell’alleato americano ricoprendo una serie di compiti che vanno dal pattugliamento congiunto con la marina americana di aree anche al di fuori dei confini giapponesi, alla difesa antimissilistica, ma anche attività di intelligence, sorveglianza e ricognizione (Isr) coordinate attraverso i rispettivi Security Consultative Committee (Scc).
Infine, la decisione di incorporare le guidelines all’interno dei caveat della cosiddetta difesa collettiva sancisce de facto un nuova fase del Giappone integrato all’interno della nuova architettura strategica americana in Asia.
Negli ultimi anni, la Cina è stata impegnata nell’espansione della sua capacità strategico militare all’interno della regione e le nuove ambizioni egemoniche si inseriscono all’interno della visione politico strategica della nuova leadership cinese, che considera il raggiungimento della Great Rejuvenation of the Chinese Nation, il corollario principale per assicurarsi il controllo della regione a scapito di Washington e dei suoi alleati.
Sotto il nuovo profilo strategico, le forze militare giapponesi saranno adesso autorizzate a correre in soccorso degli alleati sotto attacco anche qualora l’attacco non fosse diretto contro le forze giapponesi. Si profila un nuovo ed importante ruolo di Tokyo all’interno di contingenti multilaterali impegnati in operazioni di peacekeeping in teatri come il Sud Sudan o il Medio Oriente.
Forti critiche sono state espresse della Cina che considera questa mossa un tentativo di recrudescenza del militarismo giapponese nella regione.
Le relazioni diplomatiche tra i due paesi si sono incrinate negli ultimi anni, specialmente dopo le tensioni originate da varie dispute territoriali come nel caso delle isole Diaoyu/Senkaku, ma anche per via delle rivendicazione da parte di Pechino della East China Sea Air Defence Identification Zone (Adiz) nel 2013, segno evidente delle ambizioni territoriali sul Mar Cinese Meridionale e del tentativo di stabilire la propria supremazia nella regione.
L’amministrazione Abe è riuscita nel difficile compito di riaprire il dibattito in merito al ruolo del Giappone nell’arena internazionale, favorendo il processo di normalizzazione attraverso audaci riforme in materia di sicurezza nazionale e difesa.
La nuova dottrina Abe basata su un pacifismo attivo rappresenta un punto decisivo nell’integrazione del Giappone all’interno di iniziative strategiche bilaterali e multilaterali, ma è anche la prova della volontà del Giappone, determinato a ricoprire un ruolo più ampio all’interno dell’architettura strategico militare in Asia.
In ultima analisi, la nuova postura strategica di Tokyo nello scacchiere asiatico è stata salutata dall’amministrazione americana con grande entusiasmo vista l’importanza strategica che l’alleato può giocare nella regione e nello scenario internazionale.
Tuttavia, resta da valutare fino a che punto il Giappone riuscirà a dettare la propria agenda in politica estera, più autonoma da Washington, sia dal punto di vista strategico che diplomatico, ma soprattutto capace di garantire al paese un ruolo di primo piano tra le potenze del Pacifico, senza però innescare pericolosi confronti con la Repubblica Popolare Cinese.
— L’analisi è stata pubblicata da Ispi Online con il titolo “Si vis pacem, para bellum: il nuovo ruolo del Giappone nello scacchiere strategico globale” e ripubblicata in accordo su TPI con il consenso dell’autore.
*Daniele Ermito, analista per GRI e Foreign Policy Association
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