Haraga vive nel villaggio di Hanuabada da ormai 22 anni. Ci si è trasferito quando ne aveva 15, età in cui ha raggiunto la piena consapevolezza della propria omosessualità.
Come lui, lo stesso hanno fatto molte altre persone della comunità Lgbt (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) della Papua Nuova Guinea. Hanuabada è l’unica area nel Paese dove le persone Lgbt possono vivere senza temere di subire violenze e discriminazioni.
Per questo, molti gay, trans, bisessuali e transgender si sono trasferiti in questo piccolo villaggio di palafitte nella periferia della capitale Port Moresby.
La vita della comunità Lgbt in Papua Nuova Guinea è difficile. La legge 1974 del codice penale considera i rapporti tra persone dello stesso sesso come reato, punibile con detenzioni che possono durare fino a 14 anni.
Si tratta di una legge poco applicata, ma che favorisce gli atteggiamenti discriminatori della popolazione verso la comunità Lgbt. Nonostante siano anni che non vengono emesse condanne dai tribunali locali per il reato di omosessualità, continuano a essere numerosi i casi di intimidazioni e aggressioni a carattere privato.
In virtù di questa normativa, le vittime talvolta non ricevono supporto né protezione da parte delle autorità del Paese. La comunità Lgbt è dunque abbandonata a sé stessa e costretta a proteggersi da sola.
Ho incontrato Alex, un ragazzo di 18 anni che vive nel piccolo villaggio di Lae. La sua vita quotidiana è difficile: viene insultato, preso in giro e per questo isolato da parte dei suoi coetanei.
“Dove vivo la parola gay è percepita come sinonimo di maligno, inumano e disgustoso”, racconta.
Alex non ha mai subìto aggressioni fisiche, ma si ritiene fortunato dal momento che altri suoi conoscenti non hanno avuto lo stesso trattamento. Nelle sue parole si percepisce rassegnazione.
Gli ho chiesto se ha mai pensato di trasferirsi ad Hanuabada. Naturalmente ci ha pensato, ma a 18 anni, con la scuola ancora da terminare, nessun soldo da parte e una famiglia povera alle spalle, prendere tutto e trasferirsi a 200 chilometri di distanza è tutt’altro che facile. Per questo motivo è costretto a resistere nella realtà di discriminazione, intimidazione ed esclusione del suo piccolo villaggio.
Alex è affascinato dalla realtà di Hanuabada. Lì la comunità Lgbt può vivere in piena sicurezza, grazie anche all’accoglienza e alla protezione della popolazione locale.
I transgender possono andare in giro vestiti con abiti femminili, i gay possono baciarsi in pubblico e gli uomini possono fare tutte quelle attività che nella visione tradizionale della società in Papua Nuova Guinea appartengono alle donne: cucinare, lavare vestiti e partecipare a circoli culturali.
Ognuno può esprimere la propria personalità e la propria sessualità in modo libero, senza le limitazioni che contraddistinguono la vita quotidiana di un gay o di un trans nel resto del Paese. Ad Hanuabada ci sono locali gay che attirano gente da tutta la capitale, comprese quelle persone sposate e con figli che hanno preferito tenere nascosta la propria omosessualità piuttosto che vivere tra discriminazioni e aggressioni.
Il governo non si mette bocca nella realtà di Hanuabada. Il suo unico interesse è quello di liberare le strade della Papua Nuova Guinea da gay e trans, e per questo motivo accetta l’esistenza di un ghetto Lgbt. Più gay e trans si trasferiranno ad Hanuabada, meno ce ne saranno nel resto del Paese.
Vlad Sokhin, un fotoreporter di origine russo-portoghese, ha trascorso un periodo nel ghetto Lgbt per raccontare attraverso le immagini questa realtà di discriminazione ed esclusione sociale.
Il suo documentario ‘Guavas and Bananas: Living Gay in PNG’ è diventato un pilastro delle campagne di sensibilizzazione sul tema promosse dall’ufficio locale delle Nazioni Unite. Le storie e le immagini di Hanuabada vengono infatti diffuse sempre di più nelle scuole e nei villaggi della Papua Nuova Guinea, nel tentativo di cambiare la percezione della società nei confronti di gay e trans.
Signe Poulsen, consulente dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani in Papa Nuova Guinea, sottolinea come la società civile detenga la responsabilità più grande nel porre rimedio a questa realtà di discriminazione nei confronti delle persone Lgbt.
Per Poulsen, è fondamentale che l’apertura alla comunità Lgbt venga dal basso, così da creare una pressione sempre più forte sul governo.
L’ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne (Un Women), il programma delle Nazioni Unite per l’Aids/Hiv (Unaids) e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) mettono in guardia le autorità locali sul legame nascosto che esiste tra discriminazione economico-sociale e sviluppo.
Non garantire a tutti i cittadini gli stessi diritti significa fare un passo indietro nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio. L’apertura alla comunità Lgbt è un traguardo da raggiungere al più presto, indispensabile e imprescindibile per garantire la crescita della Papua Nuova Guinea, avvertono gli esperti.