I genitori di Charlie Gard, il bambino di 11 mesi affetto da una rara malattia incurabile, la sindrome da deplezione del DNA mitocondriale, hanno chiuso la loro battaglia legale per portare il figlio negli Stati Uniti per un trattamento sperimentale.
L’avvocato che rappresenta Chris Gard e Connie Yates ha detto all’Alta Corte britannica che “purtroppo il tempo è finito” per il piccolo Charlie ed è ormai troppo tardi per avere chanches di successo.
I giudici britannici finora hanno respinto le richieste di trasferire il neonato negli Stati Uniti.
La malattia di cui soffre il bambino è estremamente rara e finora ha colpito solamente 16 bambini in tutto il mondo, causando un progressivo indebolimento muscolare.
Di fronte a questa rara malattia, i medici del Great Ormond Street Hospital di Londra, dove Charlie Gard è stato curato, avevano chiesto al comitato etico della struttura l’autorizzazione per la sperimentazione di una terapia.
A marzo scorso però, a causa dell’aggravarsi della malattia, il bambino è stato colpito da un’encefalopatia, un’alterazione anatomo-fisiologica dell’encefalo, che si verifica quando il cervello di un individuo risulta modificato nella sua struttura e/o nelle sue funzioni. Questo fatto, secondo i medici, non avrebbe più permesso a Charlie di parlare e di mangiare in autonomia.
A quel punto è stato comunicato ai genitori di Charlie, Connie Yates e Chris Gard, che non c’era più nulla da fare e che, per questa ragione, sarebbe stato meglio sospendere le cure.
I genitori di Charlie, però, non hanno voluto rassegnarsi a questo destino e hanno trovato una clinica negli Stati Uniti disposta a proseguire le cure del figlio con un trattamento sperimentale.
Per poter curare il bambino, i coniugi Yates hanno raccolto oltre un milione e 200mila sterline da oltre 80mila donatori volontari.
Ciononostante, l’ospedale di Londra si è opposto al trasferimento dal momento che oggi non esiste alcuna cura accettata per la rara malattia di Charlie e visto che non volevano fosse sottoposto a una cura sperimentale.
Il caso è stato portato dinnanzi all’Alta Corte Britannica che oggi, 24 luglio 2017 avrebbe dovuto pronunciarsi.
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