Chi era Qassem Soleimani, il generale iraniano ucciso nel raid Usa a Baghdad
Il generale iraniano Qassem Soleimani è stato ucciso in un raid Usa all’aeroporto di Baghdad la notte del 3 gennaio 2020. La sua morte rischia di acuire le tensioni tra Stati Uniti e Iran, con implicazioni importanti in Medio Oriente.
Il generale, 62 anni, era comandante delle forze speciali Al Quds, braccio armato dei Pasdaran per operazioni segrete all’estero, ed era considerato una delle figure chiave della strategia dell’Iran in Medio Oriente. Era molto vicino alla Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ed era considerato da alcuni il potenziale futuro leader dell’Iran.
L’ex agente Cia John Maguire aveva definito Soleimani “la persona operativa più potente in Medio Oriente”. Ma chi era il generale Soleimani? E perché è stato ucciso in un attacco ordinato direttamente dal presidente Usa Donald Trump?
Qassem Soleimani nasce l’11 marzo 1957 in una famiglia di contadini nel villaggio di Rabord, nella provincia di Kerman, vicino al confine con l’Afghanistan. Inizia a lavorare a soli 13 anni in una società idrica di Kerman, per ripagare i debiti del padre.
Quando compie 22 anni, Soleimani si arruola con le Guardie rivoluzionarie islamiche, nate per proteggere la repubblica degli ayatollah.
Durante la guerra con l’Iraq, tra il 1980 e il 1988, si distingue perché è capace di infiltrarsi nelle file nemiche per portare a termine operazioni ad alto rischio. Dal 1998 diventa comandante delle forze speciali Al Quds, che sotto la sua guida diventano sempre più influenti.
Negli ultimi vent’anni Soleimani è il regista di quasi tutte le più importanti operazioni militari dell’Iran, compresi il sostegno a Bashar al-Assad nella guerra civile in Siria, l’aiuto agli Hezbollah in Libano e gli attacchi agli americani durante la guerra in Iraq.
Secondo il Pentagono, le operazioni guidate dal generale tra il 2003 e il 2011 avrebbero provocato la morte di almeno 608 soldati americani. Tra le operazioni attribuite alle Quds di Soleimani anche complotti in Asia e in Sud America e un fallito attentato, nel 2011, per uccidere l’ambasciatore dell’Arabia Saudita in Usa, in un ristorante italiano a Georgetown.
Il successo ottenuto fermando l’avanzata dell’Isis con le truppe iraniane e irachene ha fatto crescere notevolmente la fama e la stima del generale in patria. L’83 per cento degli iraniani, secondo uno studio pubblicato nel 2018 da IranPoll e dall’Università del Maryland, aveva un’opinione favorevole di Soleimani, superiore persino a quella del presidente Rohani e a quella del capo della diplomazia Zarif.
L’ex analista della Cia Kenneth Pollack nel suo ritratto di Soleimani per la rivista americana Time dedicata alle 100 le persone più influenti al mondo nel 2017, scriveva che “per gli sciiti in Medio Oriente, [il generale] è un mix di James Bond, Erwin Rommel e Lady Gaga”. Ma il generale aveva smentito le voci su una sua possibile candidatura alle elezioni presidenziali nel 2021.
A ottobre 2019 l’intelligence dei Guardiani della rivoluzione islamica iraniana aveva annunciato di aver sventato un attentato contro Soleimani. Il capo degli 007 Hossein Taeb aveva fatto sapere che il piano di agenzie di spionaggio “arabe ed ebree” sarebbe stato quello di assassinare Soleimani con “mezza tonnellata di esplosivo”, in un’operazione pianificata da “anni” per sferzare un colpo ad Al Quds e scatenare un conflitto intra-islamico nel Paese, attribuendone poi la responsabilità a gruppi ribelli interni.
Secondo il Pentagono, “il generale Soleimani stava mettendo a punto attacchi contro diplomatici americani e personale in servizio in Iraq e nell’area”.
Ma l’uccisione del generale non sarà priva di conseguenze: la guida suprema iraniana Ali Khamenei ha già annunciato che “una dura vendetta attende i criminali, le cui mani nefaste sono insanguinate con il sangue di Soleimani e altri martiri dell’attacco della notte scorsa”.