Israele finisce alla sbarra davanti alla Corte di Giustizia de L’Aja con l’accusa di genocidio a Gaza, decisamente respinta dallo Stato ebraico. Il procedimento si apre oggi davanti al Tribunale internazionale su denuncia del Sudafrica, secondo cui durante la guerra in corso dal 7 ottobre nel territorio costiero palestinese Tel Aviv ha violato la Convenzione del 1948 sulla prevenzione e sulla punizione del crimine di genocidio.
Le prime udienze si terranno oggi e domani ma il processo potrebbe durare anni: intanto però, prima di giudicare il caso, Johannesburg ha chiesto alla Corte di imporre una serie di “misure provvisorie” per costringere Tel Aviv a fermare l’attacco militare, già costato la vita a oltre 23mila palestinesi.
Un procedimento lungo
Nei prossimi due giorni, i giudici de L’Aja ascolteranno le parti (oggi il Sudafrica e domani Israele) e poi decideranno se emettere un ordine a tutela della popolazione palestinese. Le possibilità che tale provvedimento venga applicato però sembrano scarse, malgrado le decisioni del Tribunale siano vincolanti. La Russia, ad esempio, non ha mai ottemperato all’ordine emesso dalla Corte nel 2022 che imponeva a Mosca di fermare l’invasione dell’Ucraina.
Inoltre, anche se il Tribunale optasse per una tale misura, per essere imposta a Israele questa dovrebbe poi essere approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove gli Stati Uniti hanno mostrato la propria disponibilità di opporre il veto a ogni risoluzione in questo senso contro lo Stato ebraico. Washington infatti ha già bollato la denuncia sudafricana come “inutile”.
Al di là delle “misure provvisorie” urgenti richieste dal Sudafrica per fermare la guerra a Gaza, il procedimento si annuncia piuttosto lungo. Il caso simile più recente riguarda infatti le accuse di genocidio della minoranza Rohingya mosse nei confronti del Myanmar e presentate alla Corte nel 2019 dal Gambia (a cui l’anno scorso si sono unite anche Canada, Danimarca, Francia, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito), un procedimento tuttora in corso a quasi cinque anni dalla prima udienza.
Le accuse
La denuncia del Sudafrica è stata presentata alla Corte il 29 dicembre scorso. “Ci sono rapporti in corso di crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi, nonché rapporti secondo cui atti che raggiungono la soglia del genocidio o crimini correlati come definiti nella ‘Convenzione per la prevenzione e la punizione del genocidio’ del 1948 sono stati e potrebbero ancora essere commessi nel contesto dei massacri in corso a Gaza”, aveva spiegato il portavoce del Dipartimento delle Relazioni Internazionali e della Cooperazione del Sud Africa, Clayson Monyela.
Dimostrare tali accuse non sarà semplice, eppure la questione è dibattuta da mesi. “Molte dichiarazioni di politici e generali israeliani mostrano l’intenzione, uno degli aspetti più difficili da dimostrare nei genocidi”, ha accusato a novembre sul New York Times uno dei massimi esponenti della storiografia sull’Olocausto e sui genocidi, Omer Bartov. Due mesi fa, insieme a quasi 800 altri accademici ed esperti, ha sottoscritto una lettera per “lanciare l’allarme sulla possibilità che le forze israeliane perpetrino il crimine di genocidio contro i palestinesi nella Striscia di Gaza”.
Secondo l’accusa lo Stato ebraico, che ha firmato la Convenzione del 1948, avrebbe violato diversi articoli del Trattato durante la guerra, tra cui “genocidio”, “incitamento al genocidio”, “tentativo di genocidio” e “incapacità di punire l’istigazione al genocidio”.
Come riportato da Amnesty International, “tutti gli Stati hanno l’obbligo giuridico di agire per prevenire il genocidio, ai sensi della Convenzione del 1948 sulla prevenzione e sulla punizione del crimine di genocidio e, come già determinato dalla stessa Corte, ai sensi del diritto consuetudinario. Questo significa che l’obbligo di prevenire il genocidio è vincolante per tutti gli Stati, compresi quelli che non sono parte della Convenzione”. Ovviamente, Tel Aviv respinge al mittente ogni accusa.
La posizione israeliana
Il governo del premier Netanyahu – rappresentato a L’Aja dall’ex presidente della Corte Suprema israeliana, quell’Aharon Barak che ha fieramente avversato la controversa riforma della giustizia che ha spaccato lo Stato ebraico nell’ultimo anno – sostiene infatti che la guerra in corso a Gaza sia diretta contro Hamas e non contro la popolazione palestinese. Al di là di questo però, i rappresentanti israeliani non hanno anticipato alla stampa la propria linea di difesa.
Con ogni probabilità Barak e il principale rappresentante legale di Israele a L’Aia, l’avvocato britannico Malcom Shaw, sosterranno che le morti civili del conflitto siano soltanto vittime collaterali. La difesa dovrebbe poi anche indicare i milioni di volantini lanciati sulla Striscia e le decine di migliaia di telefonate e messaggi di testo che invitavano all’evacuazione la popolazione delle aree prese di mira dai bombardamenti. Inoltre probabilmente sosterrà che i citati commenti dei ministri israeliani sono stati presi fuori contesto e che non erano diretti alla popolazione civile palestinese ma ai leader e ai combattenti di Hamas.
Intanto però la guerra (e il massacro) continua.