“Oltre 21 milioni di chili di pesci, crostacei e molluschi arrivano in Italia dalle acque del Giappone che ha deciso di rilasciare 1,25 milioni di tonnellate di acqua radioattiva trattata dalla centrale nucleare di Fukushima”. È quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al 2020 che evidenziano anche l’arrivo in Italia di 18 milioni di chili di pesce dalla Cina e di 3,3 milioni di chili dalla Corea che ha deciso di impugnare al Tribunale internazionale del diritto del mare la scelta nipponica.
Come scegliere il pesce
Una decisione devastante che – sottolinea la Coldiretti – ha pesanti ripercussioni dal punto di vista ambientale, economico e sanitario a livello globale sulla quale devono intervenire le istituzioni internazionali”. Per controllare direttamente l’origine del pesce acquistato il consiglio della Coldiretti è di verificare sul bancone l’etichetta, che per legge deve prevedere la zona di pesca, e scegliere la “zona Fao 37” se si vuole acquistare prodotto pescato nel Mediterraneo.
Un disastro ambientale
A dieci anni dall’incidente nucleare in Giappone, l’esecutivo guidato da Suga ha scelto di rilasciare nell’oceano 1milione di tonnellate di acqua radioattiva. Suscitando le ire di Paesi vicini, associazioni ambientaliste e dell’industria nazionale della pesca. Per avere un’idea, sono 200 gli m3 (rifiuti radioattivi) giornalieri che si accumulano nelle cisterne dopo essere servite per raffreddare le barre di combustibile radioattivo. L’acqua subirà un processo di decontaminazione che ha degli aspetti controversi.
La pesca non è più sostenibile
La pubblicità negativa che deriverà al pescato giapponese da questa iniziativa preoccupa non poco i 1.500 pescatori della zona che si sono battuti contro questa decisione e che oggi, per sopravvivere, contano soprattutto sui ristoranti e le rivendite locali. La pesca, una delle attività determinanti per il sostentamento alimentare ed economico del paese, ripartita gradualmente a poco più di un anno dalla catastrofe, e in aree limitate, sfiora attualmente appena il 20 perce cento del fatturato generato prima del 2011.
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